domenica 30 novembre 2014

Primo passo di una revisione


Con questo titolo, in questa bella domenica mattina, ho dato la prima severa stoccata al primo racconto della mia prossima raccolta "Il cane del maestro", raccolta che renderò disponibile quando sarà completa e rettificata a dovere nei formati elettronici più svariati, per incontrare quanti più nuovi lettori è possibile.
Dunque con "Lo zio August e Mattia", apro questa esplorazione di un mondo narrativo che sento molto nuovo e intricato dentro di me, ma anche molto controverso e alquanto distante dall'approccio che ho adottato in precedenza nei miei ultimi lavori. Più che un vero e proprio cambiamento, il mondo espressivo di questo primo racconto, come di tutti i seguenti, può definirsi un prolungamento di quelli che erano i miei moduli ancora inespressi, che adesso ho forse maturato e definito per articolarli in uno spazio diverso, forse più ermetico e frammentario, con delle componenti molto più teatrali e insieme immaginifiche al loro interno, ma anche con il costante desiderio di infrangere barriere e di sperimentare nuove zone e colori della mia voce. 
Nella revisione e nella scorsa attenta dei dettagli del primo racconto di questa raccolta, ho ascoltato con grande cura il suono della storia e ho avvertito la schiusa di altre sonorità e insieme di altre priorità, alle quali mi sento molto più sensibile rispetto a prima, dal momento che i piani di interesse nei racconti precedenti erano dedicati al nesso sequenziale degli avvenimenti più che alla loro singola anamnesi. Prevale adesso una certa verticalizzazione dell'accaduto, con l'impulso di intrattenermi nel frammento dell'azione più che nella sola coerenza o matematica del suo sviluppo. Nel singolo accordo più che nell'intera armonia. 
A volte parlare della luna, di una nuvola che cambia tinta sulla campagna, può già essere a suo modo una storia, un accadimento di cose che si vedono e che accadano e che accadono a chi le vede nel momento in cui le racconta o che si vedono a tratti e si nascondono. Raccontarsi attraverso e non verso, per esempio. Cogliere l'istante di chi vive il fatto e non più il fatto mentre è vissuto. Questi particolari si evincono molto da un certo uso dell'immagine che si addensa come una camicia bagnata al plot e lo conduce in territori simultanei e paralleli, quanto oscuri e abissali, che danno alla forma racconto una certa luce primitiva e insidiosa, che a volte si basta da sola, completando alcune parti del quadro davvero con pochi gesti, con una grande pietrosità dell'istante sospeso e spesso smarrito. Si tratta di aprire più porte in una stessa stanza e scorgere più luci e più condizioni da quante stanze saranno presenti in quella stanza madre, da cui ha origine e si compone e a volte decompone il tutto, quello che si vede e quello che si cela come intravisto, che in questo mio nuovo viaggio conta molto di più del visto, (forse ne "La donna della stanza diciannove" ho cominciato a muovermi in questa direzione). Questo primo breve racconto "Lo zio August e Mattia", che apre la mia nuova raccolta, sintetizza dentro di sé quello che si incontrerà, in modalità più o meno diverse, nelle altre storie che lo seguiranno, fino all'ultima, che pare ricollegarsi al senso più intimo e rarefatto della prima, in uno strano cerchio incantato e segreto, dove tutto sembra ritornare e non ritornare più, in un apparato ipnotico, vortice senza tempo e senza fondo (Nel racconto "La casa", si narra di questo baratro che costella un paesino di poche anime, dove forse si richiamano questi fattori che ho appena accennati).
Sono contento di condividere ogni tanto i passaggi di questa mia nuova revisione, che mi sta appassionando davvero moltissimo, insieme a quella del romanzo "Le braci nella pioggia" che continua anche lui la sua lunga strada.
Il prossimo racconto a cui dedicherò tutte le mie energie, il secondo della raccolta, ha come titolo "Il cane del maestro", col quale ho già deciso da tempo di intitolare il libro.

Nella pioggia o nella notte


Nella notte. Il solo passaggio di un suono, di un furgone che sbanda, di un uccello o di un pioviginnio, tutto resta dentro la sua fine. Nel suo sfumare, a quest'ora, si distingue l'eterno dall'effimero, la radice dallo stelo, il maschio dalla femmina, il diavolo da Dio, così come il passaggio del liquore da un ultimo bicchiere a una gola arsa. 
Ogni pensiero sbanda e prende la sua razione dal mistero dei suoni che avvolgono i rientri più tardivi del sabato notte. Così questa scrittura si stanca e si divora da sola, di quello che non dice ancora e che non sa ma che comprende, quando si sazia e si addensa di queste vibrazioni nel deserto e le tramuta nello spettro di altri segni, come di un furgone che sbanda, di un uccello o di un piovigginio, ove tutto resiste dentro la sua piccola fine e insieme dentro di me. Nello stesso secolo di cui si può impregnare un solo istante, per esempio, e diventare un inizio e poi non placarsi mai.
L'esprimersi è arricchirsi attraverso la possibilità di un ascolto che sia in primo luogo condivisione di uno stato dell'essere e non solo di un'efficienza, non più attraverso cose che possono dimostrarsi, ma solo avvenire e accadere a un altro essere mentre le si raccontano. A chi le raccoglie auguro sensazioni che sappiano di profondo, che investano il suo essere di uno stesso possibile intento di consegna, attraverso qualsiasi mezzo e possibilità, ma che si addensino a un suo sogno e non a un mio.
Non importa l'esistenza di lettori colti, approviggionati di mille concetti e di sfoggi, di erudizione, di troppi effimeri intenti e pregiudizi. Basta solo qualcuno che raccolga e che avverta in questo intento di consegna un regalo, consegnato a mano e al buio in bilico, proprio e unicamente a lui, al suo passaggio invisibile di suono e di primo sonno. Nella pioggia o nella notte.

mercoledì 26 novembre 2014

Mezzanotte di fuochi


Questa sera, ritornando a casa, pensavo che la gioia più grande nello scrivere è in fondo la possibilità del sogno, della sua durata e costante filigrana in qualsiasi momento della giornata. Un sottofondo di basso continuo, un secondo cuore che pulsa in un contrattempo e mi anticipa. Niente conta di più di questo sentimento costante del sogno, che porta ad affidare alle mie parole un territorio sconnesso e insieme sicuro, dove solo perdendomici ritrovo casa.
La scrittura rimane quella zona segreta da preservare in ogni caso, al di là dei confini, delle dinamiche, delle convenzioni. È quel tipo di colore che appare solo nei sogni e che cerca di valorizzare di una nuova cromia la tessitura della mia realtà, come uno strappo dell'arazzo nella luce infinita di un mezzogiorno o di una mezzanotte di fuochi. 

sabato 22 novembre 2014

La tremenda complessità del racconto breve





Credo che in linea generale sia sempre molto difficile fare bene qualcosa. Qualsiasi cosa. Anche qualcosa verso cui si è portati, rimane sempre difficile da fare molto bene. Nell' esaudire un proprio personale ideale di correttezza, di assetto, di rotondità. 
Un racconto pulito, armonico, completo, è qualcosa di tremendamente complesso. Anche se breve, io direi soprattutto se breve. Non conta scrivere tanto. Conta scrivere molto bene. E scrivere molto bene trovo che sia tra le cose più difficili e complesse al mondo, proprio perché alla portata di un bene o forse di un male all'apparenza potabile, che si può toccare con una certa facilità, all'inizio, molto più di una partitura di Brahms per pianoforte o di un testo di fisica quantistica.  Quando leggo non cerco la quantità ma la bellezza. La bellezza non l'ho mai cercata nei grandi numeri ma nelle sensazioni profonde organizzate tra le parole, nei concetti, nei suoni, nei silenzi che sono avvinghiati a quei suoni, alle loro insondabili circostanze. Cercare di dilatare all'infinito un processo di scrittura, sperando di trovarvi qualcosa di prezioso, solo per le probabilità statistiche che in un lungo flusso le percentuali di riuscita aumentino, credo che possa essere una trappola o comunque una primissima zona di approccio al rapporto fisico con il getto fiume della bozza uno. La zona più selvatica, quella che più avanti va educata e disciplinata in un certo modo, ciascuno con le sue regole, le sue abitudini, i suoi sistemi.
Un racconto è una forma di vita. È qualcosa che si forma con una sua componente creaturale, che di solito ha già un suo determinato carattere, fin dai primi palpiti. Mi piace immaginarlo già con un suo firmamento, se non già una sua parte astrale in perenne combustione. La condensazione di un certo messaggio psichico in uno spazio ristretto si avvicina di molto al processo poetico, alla difficile economia di versificazione. La precisione della parola, l'attenzione nella scelta del singolo vocabolo, della sua forza intrinseca più che estetica, oltre alla sua compostezza, non deve rispettare unicamente un certo assetto o coerenza formale, ma partecipare attivamente alla costituzione di un organismo vitale e mutante, che si strutturi e si dilati nel pieno delle sue funzioni, a volte anche mostruose, e cercando di sintonizzarsi con i suoi apparati ad altri costrutti sensibili riceventi, che daranno un senso e una direzione al suo articolarsi, al suo essere in vita, in un duplice messaggio creativo e simultaneo, dove scrittore e lettore si fondono in una misteriosa terza alchemica attività. 
La strada per concentrare un messaggio definito, intenso, ben congegnato in uno spazio delimitato, può richiedere la stessa maestria esercitata nella costruzione di un romanzo, così come anche una sola quartina di un sonetto può risultare più difficile e onerosa della buona scrittura di un intero film. Credo che la sfida del raccontare con poco, in uno spazio più o meno volontariamente limitato, richieda una grande sensibilità, oltre che una buona tecnica. Diffido dei sistemi assoluti e delle chiavi magiche e segrete per concentrare al meglio una narrazione in un definito numero di caratteri. La brevità della narrazione è in primo luogo una condizione dello spirito. Il tempo è lo spasmo di un racconto, quindi parte orgasmica del suo profondo, della sua anima quanto del suo tenebroso destino. Una lotta stremata con il suo infinito. Solo chi conosce il seme della storia, chi la patisce fin dal suo primo elemento vitale e nucleico, potrà avvertire, sperimentando, sbagliando, correggendo, distruggendo, ricominciando, il suo modulo necessario per organizzare al meglio il suo plesso nello spazio che la storia gli e si concede. 
Un racconto breve è un sistema, che deve in qualche modo costituirsi e armonizzarsi in una sua perfezione relativa e lasciare una sua particolare risonanza oltre le sue coordinate. Rimanere in qualche modo indimenticabile, anche per pochi secondi. La difficoltà, quindi, non la trovo tanto nella costituzione o confezione di un prodotto perfetto o perfettino, commestibile o gradevole, specie se ben disteso e sviluppato, scritto con una buona mano e un buon orecchio, come spesso ho sentito dire, ma immagino soprattutto nella densità della sua presa, nella sua corrente disordinata che ritorni in qualche modo a soffiare e a bruciare, così come ha soffiato e ha bruciato alle orecchie del suo autore, prima di esistere, al di là del suo tempo, della sua durata, della sua forma raffinata di nostalgia, quanto nella sua maledizione  La forza di un racconto e di uno scrittore è rappresentata dall'intensità della sua vita e della sua nostalgia. Della vita che infonde alle sue parole. È la vita che fa numero, sopra ogni cosa. O meglio: che fa parola, sopra ogni numero. 
È quello che penso.

sabato 15 novembre 2014

Luoghi di scrittura e dintorni.


Penso che la scrittura sia un processo insondabile, molto particolare e misterioso. Parlo naturalmente per me. Mi accorgo sempre di più che interessarmi a questo processo, alla sua possibile evoluzione, mi rende molto difficile avere dei pregiudizi suoi luoghi dove questo processo dovrà o potrebbe in qualche modo articolarsi, diffondersi, arenarsi. Certo che mi interessa che quello che scrivo in qualche modo abbia un destino, ma non attribuisco un valore assoluto a questo destinarsi, ma solo allo scorrere del processo, alla sua perpetua cascata, che si nutre e si basta da sé. Il resto è relativo, non valorizza il nucleo del processo.
Oggi ascolto e devo dire che gusto molto fragore intorno ai luoghi del pubblicare. Ai luoghi leciti, prestigiosi, illeciti, clandestini, troppo comodi e abbordabili, santificati, demonizzati, quindi ancora un accapigliarsi sulla carta e sul digitale, d'accordo. Non trovo dove sia il problema. Mentre scrivo questo post ho accanto a me un meraviglioso testo in cartaceo di Jerzy Kosinski "L'uccello dipinto". Romanzo in edizione integrale, incantevole, che credo rileggerò per la terza volta, appena concluso questo post. Per cui non mi schiero contro e per qualcosa, perché non sempre un cambiamento, una trasformazione debbano per forza infrangersi come un meteorite sul passato, ma mi oriento e tasto il terreno, annusando e non giudicando. Osservando quello che c'è di buono e di cattivo, come in ogni cosa, dal vino rosso al peperoncino, alla società amatoriale di atletica per mio nipote.
Siamo in piena fase di transizione, ma ormai avanzatissima, non credo che sia più una transizione. Il cambiamento ormai è avvenuto. Non si può ragionare come se nulla fosse successo. Il cambiamento ormai è irreversibile, buono o cattivo che esso sia, bisogna farci i conti, in qualche modo. Ogni tipo di evoluzione, più o meno traumatica o indolore, porta con sé una varietà di problematiche, ma quelli che sono o che saranno i miei progetti, la mia ricerca ma soprattutto il mio divertimento, non potranno che sghignazzare e prendere aria in questo cambiamento: in questo ristrutturarsi di nuovi parametri, equilibri, tensioni, la mia anima canta e fischietta sotto la pioggia e attraverso i campi, fino a tardi. È una grande fortuna trovarsi nel mezzo di questo terremoto. Una splendida opportunità di crescita, di sensibilità, di divertimento, di fallimenti irreversibili ma senza l'ombra della noia, per fortuna. È questo quello che conta: la varietà della vita, le sue dinamiche, contro ogni forma di cristallizazione e di monopolio della cultura o di una certa idea della cultura. Una qualsiasi evoluzione che crei maggiore spazio, farà sì venire fuori le miserie di chi quello spazio forse non lo meriterebbe, ma allo stesso tempo consentirà a tutti coloro o anche ai pochi ai quali uno spazio meritato è stato negato, una seconda opportunità, o anche una prova, un esperimento nuovo e irripetibile. E questa è una forma raffinata, anche se incompresa da molti intellettuali, di civiltà.
Uno scrittore che scrive bene non avrà nulla da temere. Non saranno i luoghi meno elettivi a togliergli quello che ha. Non saranno i luoghi più ambiti a dargli quello che non ha. Non saranno i marchi, le sigle, le persone che lo acclamano o quelle che lo disprezzano a decidere per il valore di quello che ha tentato di dire o che in qualche modo ha detto. Quel valore potrebbe non scoprirlo mai, a maggior ragione se crede che il valore sia solo in un luogo ufficiale, legato a una certa ortodossia, senza la quale il suo processo sarebbe insulso, o addiritura inutile. Il percorso di un artista deve rimanere selvatico ma assolutamente aperto nelle profondità del suo tempo, incline alla condivisione, soprattutto, di quello che uno scrittore ritiene valido, o quanto meno comunicabile. Uno scrittore deve divorare il mondo e le sue possibilità, senza essere troppo sospettoso e senza escludere nulla che non sia stato provato, sperimentato fino in fondo. Provare, stremarsi, logorarsi e poi semmai smettere o scegliere o dormirci su. Semmai contraddirsi, ma vivere senza precludersi un percorso solo per un pregiudizio di forma. Tutto qui.
Non conta il luogo delle mie parole, ma conta l'intensità del processo. L'amore e la dedizione di quel processo è l'unica cosa che conta. Il suo senso incompiuto, infinito. La vita farà il resto. Un pensiero, un'idea, non valgono il loro luogo. Un sonetto del Petrarca, se dovessi leggerlo stasera, tracciato con il gesso di fronte alla pizzeria della mia strada in salita, non perderebbe un solo battito, una sola emozione della mia bellissima edizione integrale dei Meridiani curata da Marco Santagata. Forse ne guadagnerebbe, specie se fosse stato dedicato a qualcuno, che da una finestra potrebbe scorgerlo e incantarsene.
"Il faut être absolument moderne"Così Rimbaud. Il resto non conta. In nessun caso, ormai. Secondo me è già tardi per parlarne.
E adesso posso raggiungere il mio Kosinski.

giovedì 13 novembre 2014

"La donna della stanza 19". Today Top 100 paid. Literature & Fiction in Italian




mercoledì 12 novembre 2014

Ai piedi d'una scala tesa verso la luna



Così Henry Miller apre il suo libro "Il sorriso ai piedi della scala," un libro meraviglioso e poco nominato, purtroppo, che mi è rimasto nel cuore, fin dalle sue prime parole:
"Nulla poteva offuscare lo splendore dello straordinario sorriso dipinto sul melanconico volto d'Augusto".
Che pace e quanta profondità e con quanto poco sforzo, in questo primo nastro di paragrafo, dove si avvicendano tramonti, linee e cerchi d'ombra, sentimenti, emozioni: tutti strumenti profondamente umani e divini insieme. Lontani ed esplosi dentro se stessi.
Ho amato molto questo piccolo libro (79 pagine), cominciato qualche tempo fa a notte fonda, a letto, con un piccolo lume accanto, che mi consentiva giusto quel filo di luce sullo spazio angusto della pagina. E da lì sono sprofondato nella celebrazione di una scrittura densa e sorridente, libera e armonica quanto stregata di una malinconia paludosa, che ci avvicina sempre di più ad Augusto, al suo slancio classico e ascetico. Dal suo viso verso luoghi, persone, animali, frammenti di campagna o di firmamento, nella magia di una congettura tersa e problematica che mi ridesta e mi consola: ai piedi d'una scala tesa verso la luna:

domenica 9 novembre 2014

100 cellos!


In ascolto del concerto: 100 violoncelli.
Schiocco legnoso del tornado.
Cantabilità pulita del sogno.
Libertà dell'attenzione.
Gli occhi dei ragazzi nella musica non hanno mai fine.
Le arcate scapigliano il fraseggio come maestrali. 
Il vento è molto alto sulle case.
100 violoncelli come 100 case.
La luna canta sopra le pietre.
Ogni strumento brilla di un vulcano.
La notte palpita l'ombra di ogni suono.
Modernità e consolazione nell'arte.
100 voci umane
nell'Inno alla gioia:
senza mai una fine.