martedì 29 novembre 2011

Verba Agrestia 2011: la raccolta

sabato 26 novembre 2011

Il silenzio:

Concorso di poesie: Il silenzio.
Scadenza 31 dicembre 2011.
Partecipazione gratuita.

venerdì 25 novembre 2011

Primi passi di un sito:

Ho cominciato a pensare a un sito personale. Non che la cosa sia così indispensabile, ma è stata un'idea leggera e come tutte le idee leggere, che non mi assediano di troppi  pesi e ritorsioni nel solo pensarle, ho cercato di favorirla, con il suo stesso tactus.
Ho mosso allora i primi passi, perdendo qualche pomeriggio, per sperimentare un po' la formula che faccia un po' il punto della situazione, per quanto riguarda la mia avventura dello scrivere, o come scrive Bufalino: il batticuore dell'avventura. Mi auguro di poter lasciare delle linee chiare e semplici del mio percorso. Credo che sia importante avere delle linee chiare e molto semplici, come in uno studio a matita, da cui tracciare il proprio cammino, le proprie pause, quando si intraprende un sentiero nel buio, niente di più. Ho impostato al momento pochi elementi, come piccole lanterne magiche nella notte:
il primo riguarda il percorso bioblibliografico, che al momento occupa l'ingresso del sito: la sua Home , per dirla in soldoni (o soldini) – e non so bene se rimarrà per sempre in apertura, ma mi serve per fissare i punti essenziali, che ancora non conosco in una strada così dissestata e misteriosa di scrittura, ma mi conviene fissarli e ogni tanto andarmeli a guardare, consentendo a chi fa una strada simile alla mia, di fare lo stesso. Pura condivisione, una scheda per tenere il punto, niente di più; quel punto che fino ad ora avevo abbozzato all'occorrenza, per invii del materiale agli editori e  che serpeggierà ancora su qualche scheda autore di alcuni miei lavori, ma non ancora in uno spazio personale e controllabile con aggiornamenti. 
A seguire: una pagina con gli aggiornamenti, che ho chiamato News, e in cui lascerò traccia delle ultime pubblicazioni, delle cose che sento di condividere, di quelle ancora fresche di stampa e di fatica, per intenderci. 
Un altro settore che mi andava di inserire, era quello degli audiopodcast, e allora l'ho fatto. Una zona in cui riflettere o sperimentare sull'importanza di raccontare anche con la voce, in alcuni casi sintetizzare con le immagini. Sarà la zona dove aggiornerò i miei file audio e gli eventuali trailer delle mie storie o qualsiasi altro fattore similare, che abbia a che fare con la medialità, con la possibilità di iscriversi ed essere aggiornati dalle nuove puntate.
L'ultimo scomparto del mio piccolo treno a vapore, l'ho chiamato "Disappunti". È un contenitore di scritti, pagine di taccuino in prosa o in versi,  e anche di link a questo blog, o anche ad altri elementi di approfondimento, (recensioni, concorsi, selezioni, bozze, taccuini, foto) che potrà favorire, per il lettore, una parte del quadro dell'autore che gli mancava, che forse non conosceva o non immaginava di incontrare  – questo nel bene e nel male, naturalmente.
Al momento mi sono fermato qui, sempre in riferimento alle poche linee semplici si cui voglio tracciare il mio percorso. Proverò a lasciare a questi vagoni lo spazio che richiedono, sperando che il mio strano cammino possa giustificare una testimonianza, anche minima, di sintesi e di analisi di un certo paesaggio, in sinergia con gli altri spazi che gestisco, come questo, che sto cercando di mandare avanti nel modo più semplice e naturale possibile.
È tutto qui: Luigi Salerno

mercoledì 23 novembre 2011

23 novembre 1980:

La mutilazione di un luogo diventa l' arto maschio monco,  
il torsolo vivo di mela cotogna, la dolce azzannata radice 
sfoca la tannica colpa di una Domenica mattina più felice.

martedì 22 novembre 2011

Sanguineti: Dante nel 1965

sabato 19 novembre 2011

Fuga dal Medrano: versione audio in mp3 Free


Versione audio del mio racconto "Fuga dal Medrano", selezionato tra i migliori dieci racconti, nel Concorso Libriamo 2010, dedicato alla figura di Giovanni Comisso.
Il concerto per pianoforte e orchestra in La minore di Edward Grieg, è utilizzato sotto questa licenza Creative Commons  da questo sito.

venerdì 18 novembre 2011

Sfida su Starbooks e racconto derivato: È così:

Ieri pomeriggio la redazione di Starbooks ha lanciato una simpatica sfida letteraria, con un canovaccio su cui lavorare con un intervento di editing e anche con eventuali modifiche, variazioni, parodie, miglioramenti. Tra i miei quattro contributi, il primo, anche trasgredendo lo spirito dell'operazione, è quello che reputo il più riuscito. C'è da dire che ho innestato, in zone diverse del racconto, le parti della piccola struttura di riferimento, che è ampiamente riconoscibile nelle varie zone della storia. 
 Ringrazio gli amici di Starbooks per la simpatica opportunità.
A voi il racconto:


                                                                     È così


“È così è morta”.
“È morta così…”.
“La stronza è morta”.
“Non si dice questo dei morti!”.
“Delle stronze morte sì”.
“Non mi piace che parli così di una persona appena morta; era ancora così bella, poi…”.
“Una bella stronza, allora”.
“Ancora, ma dimmi, Eugenio, lo fai apposta o cosa?”.
“Perché te la prendi tanto, adesso?”.
“Perché non è da te, e poi mi pare di vederla…sempre sola soletta, che ti voleva un bene, non è giusto parlare così”.
“Davvero? Non mi pare che mi voleva un gran bene”.
“Lo sai che te ne voleva, invece”.
“Sarà…”.
“Mi sembra di vederla, con i sacchetti della spesa e le bottiglie di vino e di liquori, che sbattevano tra di loro. Sempre un po’ curva. Che triste andarsene così, senza nessuno. Solo adesso i figli e i nipotini hanno riempito il giardino. Mai visti prima, ci hai fatto caso?”.
“Nella sua villetta non è venuto mai nessuno. Non aveva nessuno, tranne me e te e il fornitore di liquori”.
Lo vedi, lo vedi che allora non è giusto? Solo perché beveva?”.
“Non era stronza perché beveva!”.
“Se lo dici ancora una volta, Eugenio, giuro che mi metto a gridare. Nemmeno a una viva l’ho mai detto, e solo perché non prendevi dei buoni voti”.
“Non aveva simpatia per me quella bella…”.
“Per favore! Che cosa ti ho detto!”, guardandolo dietro gli occhiali doppi.
“D’accordo, una professoressa di filosofia, con la passione per Hegel, che fumava in classe e forse mi stimava e mi voleva un po’ di bene, sì, ma è stata troppo severa”.
“Io vorrei vederla, un’ultima volta”.
“Ma che diavolo dici, Anna! Se non c’è nessuno degli alunni, e poi mi ha anche bocciato”.
“Io vorrei vederla, che forse siamo ancora in tempo. Altrimenti finisce che mi brucia per tutta la vita”.
“Io non me la sento, e poi lo sai che a me viene il nervoso. Ai funerali non mi so comportare: l’odore dei fiori, le persone troppo serie, a volte mi fanno ridere e non mi so trattenere”
“Bello stronzo!”
“Allora l’hai detto!”.
“Sei vivo e te lo meriti tutto! Io adesso vado a salutarla, tu fai quello che ti pare. C’è ancora la porta aperta, guarda, ci sono anche Frasca e Di Renzi, li hai visti?”.
Anna si affrettò verso la villetta a schiera bianca, con il suo fazzoletto di giardino sul davanti, disseminato di palloni, biciclette e arnesi da giardino mezzo arrugginiti.
Salutò i due vecchi compagni di classe, e intanto si domandava su quegli affari in giardino, che non aveva mai notato prima, oltre alle buste con i vuoti del vetro, che la professoressa lasciava sempre accanto al cancello.
“Sono i nipoti con i loro figli, si sono già insediati nella casa”, le disse Frasca.
Anna si fece coraggio ed entrò dentro. Inciampò con una scarpa in un pedale di bici, coricata sull’erba, poi si riassestò.
Eugenio rimase imbarazzato. Poi si fece forza ed entrò nel giardino. Alzò una bicicletta, la inforcò e cominciò a girare all’impazzata, con le lacrime che gli rigavano il viso, fino al collo della camicia.

mercoledì 16 novembre 2011

Mi auguro

Identificarsi con le proprie parole, barricarsi in un regno fatto di sole parole, come in una villa isolata e piena di luce. Anche se perfette, armoniche,  funzionali agli intenti più alti e raffinati, queste parole saranno l'inizio di un incubo se non accompagnate da altro, che sia inscrivibile e impensabile. La soglia suprema per addentrarsi dentro un incubo.
Mi auguro che un processo di scrittura si snodi nel mistero e non nel misero di un solo luogo codificato e ambìto perfetto. Io scrivo parole perché queste parole siano perfette e mi rappresentino superiore e perfetto attraverso di loro. Benissimo:
scrivo per la mia idea di bellezza? Scrivo per la mia voglia di seminare bellezza? Credo di conoscere tanta bellezza da poterla condividere, o da dettare leggi in merito? 
La bellezza vera non ha luoghi definiti e va cercata e avvertita al di fuori dell'esercizio. Va vissuta. Quando si è storditi dal colpo di nuca della bellezza, dopo aver divorato spaghetti, luna park notturni nei lumi di carta, lunghe passeggiate solitarie senza una meta, e forse si avrà qualcosa da raccontare a qualcuno. La grammatica nel bello è dentro la scatola di Faulkner, dove dentro ci sono le stelle del cielo. Una scatola da tenere aperta e dove mettere la bocca e ingoiare lo sputo freddino del blu, prima di spegnere tutto e addormentarsi stremati in una notte dolce di temporali. La musica contemporanea e quella dei pastori, l'arte, i disegni incompleti dei bambini, le righe storte e l'odore forte del sipario di un teatro vuoto, il vento finto sulla scala mobile e quello stregato che sbatte nelle cosce grosse di un bosco, saranno il mio luogo di bellezza e di ignoranza davanti al bello, come di impotenza davanti a un fenomeno violento della natura. Il mio ricongiungimento tra reazione di eventi vissuti – senza volontà di registrarli – e relazione di conoscenze e congruenze.
Descrivere la luna dalla parte di un lupo e non più del poeta, è l'unica speranza per sentirsi moderni, senza fare i moderni. La più ardua, perché è preconcettuale ma ha poi bisogno di codifiche leggere. 
Lo scrittore non aspetta l'uccello sul ramo, con la macchina fotografica, ma diventa quel ramo, fino a spezzarsi, quando il volo del volatile succede allo sparo o alla fiondata di una sassaiola.
Mi auguro che non ci si senta vivi e pulsanti per quello o per quanto si è scritto. Se questo avvenisse, il mio sangue sarebbe nero e vestito a lutto. Non posso sentirmi vivo solo per quello o per quanto scrivo. Ma per come e per quanto vivo. Ancora troppo poco. La fame, la fame dovrebbe aumentare, nelle ginocchia, una fame di qualcosa di ignoto.
Uno scrittore non dovrà misurare la sua vita sulla quantità e sulla qualità delle sue parole scritte, ma sulla fame dell'esistere.
Non può sentirsi invisibile quando il foglio è bianco come la neve. La bellezza e la quantità delle sue parole, saranno la conseguenza di un regno privato e benefico, fatto di tanto altro, di cose imprecise, disordinate, erronnee e incompresibili, ma necessarie per dare un senso alla ricerca consapevole di un ascolto. Quando scrivo io mi ascolto, e allora mi basto. Il resto, intendo quello che accadrà, sarà sempre inferiore alla capacità di ascoltare il radar della mia esperienza autentica nell'atto di uno sviluppo. Il grosso rischio, che avverto, è cercare l'effetto e l'affetto di un'esperienza attraverso l'esercizio delle parole. Dare alle parole il contenitore e tutto il contenuto dell'esperienza. Sperimentarsi attraverso il luogo e l'esattezza logica delle parole e non dedicarsi anche al passaggio antiutilitaristico di una visione analfabeta e primitiva delle cose. Un nudo di donna negli occhi di un orco ubriaco, la coda di un cane o di una cometa davanti a una vecchia che fila la lana e prende sonno, il tutto come giallume sparso di un limoneto, da cui succhiare l'odore e bruciarsi gli occhi. E sentire tutto il possibile con fame, prima di dire del proprio morire di amore per quello che si vede e che ci sarà poi da dire, e non per come è bello quello che si scrive. Il pavone non conosce la sua ruota. La sua ruota conosce il pavone. 
Dire quello che avviene e non quello che conviene.
Mi auguro che tutti questi propositi, nel mio caso, non rimangano soltanto parole.

martedì 15 novembre 2011

Fuga dal Medrano, di Luigi Salerno, tra i migliori racconti del Concorso Letterario Nazionale Libriamo 2010


Ecco l'elenco dei migliori dieci racconti pubblicati in cartaceo, in occasione del Concorso Letterario Nazionale Libriamo 2010, dedicato a Giovanni Comisso. Giusto questo pomeriggio, ho ricevuto alcuni testi della pubblicazione in cartaceo: BESTIALE! LA MIA VITA CON GLI ANIMALI, testo curato dall'Associazione culturale ZOING! Bassano del Grappa –Vicenza.
Come sempre ringrazio di cuore la giuria e tutti gli organizzatori, per l' attenzione alla mia scrittura e per la bellissima opportunità di scambio umano e culturale.
Ecco i dieci testi presenti nella pubblicazione:

TRE ZANZARE  di Luigia Bencivegna

L'ORCO E LE API  di Daniele De Sillo

CICO IL CANE  di Rodolfo Vettorello

IL GATTO NERO di Franca Tamai

ANIMAL DOWNLOAD di Umberto Forlini

FUGA DAL MEDRANO di Luigi Salerno

IL GABBIANO E TOLOMEO di Alberto Cordaro

UNA VECCHIA VENDITA  di Bruno Bianco

POCO PELOSI  di Valeria Mancini

IL SORPASSO ANIMALE  di Marco Cattarulla

Se devo pensare a un buon climax. Lo scrittore cecchino:

Se devo pensare a un buon climax, di solito riesco solo a immaginare sensazioni, difficilmente costrutti troppo logici. Uno scrittore dovrebbe essere riuscito a creare un buon climax, quando il suo lettore si sentirà centrato nel mirino da una possibile pallonata, di passaggio per un giardino pubblico o per qualsiasi luogo dove si sta giocando. Il tiro del ragazzo non è ancora partito, ma il gioco è violento e non vi sono punti di riparo. Il passante-lettore, si trova esattamente in un bersaglio, in uno dei cerchi, senza riuscire a immaginare quando scatterà mai il piede del cecchino su quel pallone e quanto vicino, vicinissimo o nel pieno della sua vacillante posizione.

lunedì 14 novembre 2011

Parola per parola. Convegno Internazionale di poesia:


Parola per parola - Convegno Internazionale di poesia

“Anterem” invita gli appassionati di poesia, filosofia, teatro, musica
agli eventi conclusivi del convegno internazionale
 
PAROLA PER PAROLA
CONVEGNO INTERNAZIONALE DI POESIA
 
Biblioteca Civica di Verona
 

Sabato 19 novembre, ore 10.00
Incontro con Franco Rella
 
vincitore del Premio speciale della Giuria “Opere scelte” Lorenzo Montano.
Gli studenti del Liceo scientifico Fracastoro mettono in scena la sua pièce teatrale Vigilia rationis.
Intervento critico di Susanna Mati.
 
 
Sabato 19 novembre, ore 15.00
Poesia a teatro
 
Jana Balkan e Isabella Caserta del Teatro Scientifico leggono poesie di Ingeborg Bachmann, Yves Bonnefoy, Paul Celan, Edmond Jabès, Silvano Martini, Andrea Zanzotto, Osip Mandel’štam, Arthur Rimbaud, Marina Cvetaeva, Friedrich Hölderlin.
 
 
Sabato 19 novembre, ore 18.00
I vincitori del Premio Lorenzo Montano
 
Premiazione di Mariangela Guàtteri per “Raccolta inedita”;
Paolo Donini per “Opera edita”; Giovanni Infelìse per “Una poesia inedita”;
Tiziano Salari per “Una prosa inedita”.
 
 
Sabato 20 novembre, ore 11.00
Poesia in Concerto
 
Concerto a cura del Conservatorio “Bonporti” di Trento/Riva del Garda.
Musiche originali dei compositori Flavio Carlotti, Luca Borgonovi, Raffaele De Giacometti, Loris Sovernigo, Michele Callà, Fabio Conti, Damiano Simoncelli, Raul Masu, Valentina Massetti.
Per ulteriori informazioni su ogni singolo evento
e per prendere visione del programma completoche prevede altre importanti occasioni di incontro:
www.an

domenica 13 novembre 2011

Sull'arroganza e sul dire o gridare per il dire

Ricordo una passeggiata con mio padre, ricordo esattamente un punto di strada di questa passeggiata, eravamo in via Scarlatti, dove mi parlava. Ero ancora piccolo, e mi parlava della descrizione della Gita al faro della Woolf. Mi faceva rivivere, attraverso la sua voce calma, eravamo appena in salita, i dettagli di quella lettura, quelle luci e quelle trasparenze che non mi hanno più lasciato e che impregnarono di vita e di grandi schiarite gran parte di quel nostro pomeriggio solitario. E ancora, nel tempo, Petrarca, Tasso, Whitman, Dylan Thomas, Joyce, Mann, Gadda, Miller, Hölderlin, Cervantes, Proust, Bertolucci, Gatto, Melville, Conrad, sono appendici naturali di quel contatto, scoperte svelate nel tempo per sentieri più vari e oscuri, ma con quello stesso approccio di mistero iniziale di una passeggiata.
Ho imparato ad amare la letteratura con questi tempi, con la delicatezza di un regalo, e non come una forma di dominio. Purtroppo sento gridare, anche da persone che non hanno molto a che fare con la scrittura, ma che devono in qualche modo dire la loro, – tanto la rete è aperta –, e allora anche una sassata, che cosa importa. Anche una sassaiola di grida, che cosa cambierà! (Parlo soprattutto di Facebook, almeno per quello che ho avuto modo di esplorare).
E quindi mi accorgo che molti usano il dire, spesso violento e arrogante, per il gusto del dire, del gridare e del distruggere. Anche se i loro interessi saranno diversi, devono lanciare a vuoto il loro sasso. Il problema è che questo tipo di suono, non lascia lo spazio e nemmeno il tempo per capire e per trarne un beneficio o un insegnamento, dal momento che i sassi non hanno mai insegnato nulla, ma solo lapidato.
Io posso vantarmi di aver dato ascolto, a chiunque me lo abbia chiesto – ricordo ancora i testi di qualche anno fa, del progetto Repubblica, che mi furono sottoposti – con l'umiltà e con la voce bassa, ma senza aver mai lanciato una sassata a nessuna persona al mondo che scrive o che tenta di farlo. Ho sempre cercato di trovare del bene, e di non fare il matematico delle virgole, dei lemmi e dei sintagmi, perché non solo queste strade misurano l'intensità e la profondità di un testo, ma ancora tanto altro.
È tutto.
Mi auguro di  trovare in rete più musicalità e meno rumori. 
Mi auguro che chi farà anche commenti di poche righe, si ricordi che il dire e il parlare sono cose importanti e vive, come  strumenti da far vibrare, e non sassi muti o rutti da scagliare nel vuoto.
Un saluto Domenicale e intenso.

Sera in Aprile:


Cominciano a sera le prime chiare;
dal frontale rosa un filo di valico,
distese di vino tannico e bianco
le voci sono ricolme del mare.

La campagna notturna udrà lo stellarsi,
sul prato madido della Domenica: e pian piano-
da non sembrare una schiusa viva-, nemmeno
sbrinandone il passo a quello stonarsi

del tuo svogliato flou il terso canticchiare
che ti disvela, come un'asina dolce, insulare,
in quell'aria atroce e magica del ritornare.


giovedì 10 novembre 2011

Andrea Malabaila: Video di Montesilvano. Festival della narrazione:

mercoledì 9 novembre 2011

Little Brother Live:


Little Brother Live, coming to Custom Made Theatre from Pauline Luppert on Vimeo.

Lo spettro di visione

Credo allo spettro di visione in un processo di scrittura. Credo che sia il seme.
Mi guardo intorno e avverto altre priorità. Uno scrittore  deve maturare una capacità e uno spettro visivo, che giustifichi l'attenzione richiesta, il tempo di un lettore. Altrimenti la sua è una rapina.
Credo che vi sia un po' di confusione, tra efficacia, popolarità, comunicativa e riscontri immediati di questa comunicativa – tra l'altro si può essere comunicativi e scrivere male, ma questo non lo si dice mai. Venendo alle priorità, mi accorgo che la qualità e la grana di visione di uno scrittore, è dimenticata da molti, e spesso viene analizzata l'ortodossia o forma di culto della pagina, come spettro madre. La ricerca della perfezione a discapito della percezione. La forma e la regola della forma come condizione imprescindibile. Uno scrittore deve occuparsi anche di parole, ma esiste un intero mondo invisibile che deve percepire e trasmettere al di là delle lettere. Ed è qui che comincia il dramma.
 Il livello generale di chi si occupa di scrittura è piuttosto alto.  Scritture molto dirette, in rete ve ne sono diverse, ricche di consensi e di appariscenze. Io la chiamo la scrittura Sig Sauer, è una mia invenzione, un mio personale codice per evidenziare un certo approccio alla pagina. Per chi non lo sapesse, Sig Sauer è il nome di una pistola semiautomatica, una scrittura snella, tagliente, fumante, plastica. Credo che in diversi casi sia corretta allo spasmo, è fornita di un kit di editing e non sbava di una virgola. Ma in molti casi non vede.
Che cosa significa vedere o non vedere quando si scrive. Vuol dire splancare certi canali sensori e certi strati di osservazione nuovi in chi legge. Vuol dire dilatare uno spettro cognitivo e visivo, che attraverso la parola scritta, rivaluti e riqualifichi l'universo sensibile che ci fa vivi.
Lo spettro di visione è anche una ricerca faticata, che non ha niente a che vedere con la ginnastica ritmica dei paragrafi, ma con tutto l'impianto complesso e vibrante dell'immaginazione. Quando descrivo una ragazza in un certo luogo, posso disporre come scrittore di vari piani prospettici, di varie inquadrature, per ritrarla non solo nella fedeltà di chi in quel momento non mi è dentro o non mi è accanto, se sto descrivendo una cosa vista davvero, ma per incastonarla nella mia percezione di quell'attimo, che non sarà la stessa di ciascun testimone potrà attraversare quel punto di strada in quello stesso istante insieme a me. Quella ragazza verrà moltiplicata per tanti intrecci e incroci paralleli e individuali, diventandone cento o trecento in quello stesso istante, se consideriamo quanti altri ospiti indesiderati si insinueranno in quel frangente di osservazione.
L'obiettivo della mia descrizione, sarà quello di fotografarla da un mio piano e non da un suo. Di restituire la ragazza attraverso un mio occhio-occhiale privato, che riesca a distinguere le priorità e separare il mio intento dalla mera oggettività o visione comune o cronaca del fatto visivo.
Qualcosa che mi ha colpito molto e che in quell'istante poteva essere riduttivo o superfluo, ma che rappresentava e ancora rappresenta la chiave di accesso alla tensione del soggetto in espansione, rifrazione, coesione in quell'esatto frangente, con le mie dinamiche più oscure ed espanse, rifratte e coese del mio occhio. Quello naturale e non pensato.
Ribadisco che un'immagine da descrivere sarà scevra da un meccanismo di pensiero o di calcolo visivo, o bilancio. Non dovrò mai pensare a quello che vedo o a quello che conviene che veda, perché è quello che amano vedere gli altri – questo è uno dei più grandi difetti di molti giovani anche talentuosi. Devo vedere l'irrazionale, ma il primo lampo naturale che il mio spettro animale e selvatico di visione, in quell'istante preciso e non deciso, mi consente, senza legarlo a nessuna politica economica. Scegliere la visione che ameranno vedere gli altri, e vederla con gli occhi degli altri, vuol dire non vedere più e circondarmi di un branco di lettori ciechi come me.
Mi dispiace deludere i matematici della scrittura, ma in uno spettro di visione non esiste economia, non esiste utilità nel processo di combustione dell'immagine, ma esiste un colpo diretto, da prendere e da incassare, da subire e non da calcolare. Il suo livido da tradurre in qualcosa di comunicabile, quando passerà lo stordimento e avrò ritrovato pace. 
Quel particolare che mi sceglierà o che capterò tra tanti, sarà stata la radice del mio spettro di visione, e nessun particolare alternativo potrà restituirmi un' immagine di quella situazione più autentica, in grado di avvicinare anche il mio lettore al percorso intangibile e renderlo vivo con una sua nuova esplorazione parallela di quello stesso contatto o molestia visiva. In quel momento offrirò un'opportunità creativa. Con la dinamica di uno spettro creativo molto ampio e sensibile, lettore e scrittore saranno avvinghiati dallo stesso compito, inquinati dalla stessa presenza occulta o fenomeno visivo del soggetto ritratto o ripreso, senza che nessuno dei due dovrà compromettere l'equilibrio originario di visione, per accontentare l'attitudine di una visione popolare e di successo dell'oggetto-soggetto.
Non credo che sia importante quanto sia perfetta la fedeltà formale all'immagine. Il peso della ragazza, i suoi colori, i suoi collant o le sue ideologie. Conta il contrasto con la propria capacità di sogno e disegno, dove deve insinuarsi in controluce lo spunto per ritrovarsi nei sogni e nei disegni che potrebbe aver fatto chi mi legge se fosse stato al mio posto in quel momento. Tanto più bravo e sensibile sarà quello scrittore-medium, che riuscirà a rendere visibili cose che in quel momento non si sarebbero viste, facendo in modo che al prossimo impatto su di una figura simile, si varierà e si dilaterà anche il personale approccio o spettro di visione di  lettore-osservatore.
l.s.

lunedì 7 novembre 2011

Libri e lettori e scrittori. Scrittura e amore per la scrittura.

Molti libri si avvertono quando non ci sono, spesso molto di più di quando li stai leggendo e li hai davanti agli occhi e tra le mani. Questo non avviene spesso, ma quando avviene è il segno che è successo qualcosa di inspiegabile, che ti riporta verso quel luogo indefinito, impalpabile, creaturale, che è un linguaggio scritto.
La fase di attrazione può rivelarsi nel periodo della lettura, in momenti della giornata fra i più svariati, dove l'idea di ritornare alle pagine interrotte può significare un approdo, un appuntamento segreto con una propria parte lasciata in attesa, un'amante, una sala corse o di ballo, ricolma di fumo. Molte volte, il lettore e lo scrittore, durante la pausa e in tutto il resto del tempo in cui il luogo libro rimane chiuso, rimangono sospesi in un luogo terzo, che non è più il libro, ma nemmeno la vita reale, ma l'intercapedine tra i due stadi, dove avviene l'effetto o l'affetto di risonanza nella distanza, e dove si svincolano le stesse pulsioni creative di chi scrive. Anche il lettore in quel momento è toccato da quel magma che ha creato ma che continua a creare e a crearsi, attraverso la sua attenzione e tutti gli effetti successivi e imprevedibili di quelle parole nella sua vita. L'effetto della risonanza può avvenire anche a libro finito, per un certo particolare di richiamo, una consonanza, una coincidenza o stravaganza. Una sorta di esca naturale di finzione, che si avvinghia al proprio vissuto dopo un lancio maestro di surfcasting. Lo scrittore in quel caso ti ha toccato. Un grande libro è una mano addosso nel buio. Non ti dà il tempo di pensare di chi sia, anche nel balzo sei sorpreso, ferito ma preso.
In altri casi, lo stesso desiderio di ritornare nel luogo della lettura, è lo stesso a desiderare che quel momento si protragga il più possibile, non avendo la certezza che con una nuova esperienza di lettura, il richiamo possa ritornare con quella stessa forza ed efficacia, o con quello stesso fascino, tenerezza che sia. Per cui si è tentati di rallentare, di scanzonare e lasciar perdere, per amplificare l'effetto e sperare che quell'amico che ti sta aspettando non muoia mai. In effetti in un'esperienza profonda di lettura, si toccano e si vivono i passaggi fondamentali dell'attacco, del distacco e della perdita. 
Uno scrittore che riesce in questo, a conquistare un momento di un'altra vita, lo farà con strumenti invisibili, che quasi mai saranno connotati in sistemi o metodi precisi.  Più sarà incastonato in un mondo di simboli perfetti, scorporati da tutto quello che non si vede e che non si sente ancora del suo movente di espressione, e più si perderà l'inizio dello spettacolo, dove la torcia della maschera non arriverà. 
Scrivere con un certo stile, non garantirà di essere lancinanti in un momento della giornata, e per ciascun lettore al mondo, avverrà una diversa sensazione alla separazione momentanea dall'esperienza letteraria. E lo stesso impulso o desiderio di arrivare a qualcuno, sarà fallimentare, così come lo stesso lettore non avrà un metodo per riconoscere o trovare il libro e lo scrittore che lo attraggano nel vortice.
Credo che è nel circuito di questo sogno, che il leggere e lo scrivere devono nutrirsi e completarsi, nello stesso alveo creativo dove il pensiero narrato non è più possesso, diritto, territorio esclusivo, ma diventa ancora dell' altro. 
Le parole e le loro regole, giunte alla superficie cosciente, alla clausura del vocabolario, hanno già esaurito la carica vitale del primo sforzo imploso. Hanno già perso la testimonianza corporea del dolore di dire – adesso pensando al bellissimo convegno di Cistelecan, a cui ritorno spesso, forse nello stesso agguato. La regola dell'espressione è sempre dettata dall'ostacolo e dal dolore di dire e di dirsi, e non dalla codifica del dire giusto. E dal non detto, come certezza e cantus firmus di chi dice. Il contratto a vita con un certo tuo mai, che pensavi di svelare ma che ti rimane dentro. 
La scrittura è un processo di grande intimità con la vita, con il proprio approccio sensitivo alla vita, e alla necessità di tradurlo o di deformarlo in una particolare forma di linguaggio possibile e imprevedibile, quella che traumatizza l'atto creativo. Non credo che si possa sperare di essere felici in un'esperienza del genere. Personalmente ogni attacco a un testo, soprattutto in forma passiva, di rielaborazione e di processo organizzativo, è un trauma, una molestia, una maledizione. E se arrivi a dire davvero, non sarai mai capito. A volte come, o peggio, di una fila di ore alla posta, di una telefonata indesiderata, non appena varcata la soglia di casa.
Non credo di scrivere per amore della scrittura. Non posso amare la scrittura più di quanto possa amare la mia merda. Non credo al gesto romantico della passione. In fondo, al dunque, è un affare pieno di pericoli e di insidie, perché non è controllabile e ti spinge a dover dire quello che speravi volessi dire, e lasciare in un autobus di notte con la scritta deposito, tutto il tuo non detto, che darebbe il senso a tutto il sogno del viaggio. Non credo all'amore per le parole. Non posso amare le parole, le mie parole. Vanno amate le persone, i cani randagi e i paesaggi, ma non le proprie parole. Non ha senso amare le proprie parole. Devo partire da altro, dal mio trauma inespressivo, dove si può sperare di riprendere il contatto con il proprio linguaggio. Un affare molto interno e privato, che non c'entra con l'amore. 
Dove si è soli. 
Senza questo piccolo particolare, le parole non sono e non saranno nulla. Zampe di insetti. Per cui nessun sistema, assioma o corollario al mondo, potrà sperare di creare una speranza di richiamo, quando il libro è chiuso e si investiga solo sul codice dello strumento, e non sull'universo ferito dello strumentista.
Nell'intervista al regista Peter Weir, in relazione al suo film "Picnic at Hanging Rock",  si parlava dei personaggi femminili, quelli che poi si perderanno durante la gita, come creature capaci di vedere le fate. Fin dal primo mattino, quando si pettinavano e si allacciavano a vicenda i corsetti, avvertivano il presagio della perdita ma anche della bellezza. 
Non credo che vi sia esempio più calzante, per definire lo spettro di visione necessario per un affare creativo, e per una perdita...Dove non c'è e non ci sarà mai piede.
Scrivere è andare così dove non si tocca, e anche leggere. Sarà quello allora il luogo del richiamo? Quello dal quale sono partito? Una sala corse o di ballo, ricolma di fumo...

domenica 6 novembre 2011

Il camposanto di nevi

Una mia piccola prova, ospitata su Lieto Colle:

Congiunzioni e punteggiatura. Visione visiva e sonora.

I momenti riflessivi e anche quelli di crisi, costituiscono una fase di crescita. Non ne ho dubbi. Soprattutto quando si rileggono i propri scritti sotto un'altra luce, o dando importanza a fattori che semmai venivano messi in secondo piano. In effetti è proprio quando un testo comincia a ripulirsi e a farsi più arioso e comunicativo, che il peso dei particolari si avverte di più.
Vengo al punto:
punteggiatura (nel nostro caso virgole) che accompagnano una congiunzione o situazioni diverse.
Le regole.
La virgola segna la pausa più breve; essa può dividere nell'interno d'una frase una parola dall'altra, oppure, in un periodo, una proposizione dall'altra. Fra tutti i segni d'interpunzione la virgola è il più lieve e il più discreto, ma anche il più espressivo. (Battaglia- Pernicone: La Grammatica Italiana).
Dunque, abbiamo a che fare con materiale vivo, che non interessa solo l'aspetto più formale, ma va a interessare strati più vari e profondi. Ecco perché ragionarci, mi dico.
Nella scorsa classificatoria del suo impiego si citano: le enumerazioni di nomi, aggettivi, avverbi; un inciso nell'interno di un pensiero; quasi di norma anticipa una proposizione (per le relative la questione si fa più complessa, dal momento che la virgola andrebbe omessa quando il pronome relativo è legato al suo nome con valore determinante). Andando ancora avanti: collegamento di proposizioni coordinate; divisione del complemento e distinzione di subordinazione tra le proposizioni, in cui la virgola risulta indispensabile. Ma questo non è ancora un impiego espressivo della virgola. Non ancora, secondo me.
Mi accorgo che quando penso una frase, o a un flusso di frasi, queste vengono corredate da una punteggiatura interna e intrinseca, che ne svela le dinamiche di tensione, la tensione del dire e dello scrivere – l'indicibile e l'inscrivibile –, nella loro origine non pensata o non ancora cognitiva, come fossili della frase, accorpati nella stessa oscurità del loro abisso. In questi casi nascono i problemi, quando la punteggiatura diventa spasmo, flutter atriale della voce narrante o dialogante, e non più oggetto di ripristino o faro di emergenza – mi auguro non oggetto di culto, ci mancherebbe anche questo!
Si parlerà quindi della vivacità, del ritmo, di fattori popolari e di alcune particolari direzioni e dinamiche da imprimere al testo, che affideranno a questo piccolo segno, così discreto, la redine per frenare o per slanciare in un abisso una giumenta perduta.
In quei casi le regole possono cambiare, perché la visione diventa sonora, si ribalta verso un altro piano, quando nella scrittura si immagina la voce che dice. Il suono e le sue regole. Il testo non si legge solo con la  scorsa dell'occhio, ma anche con le orecchie, scorgendovi il filo di respiro o di bava di chi lo sta vivendo in quell'istante. Pause eccezionali, a volte arbitrarie e non necessarie o indispensabili, prenderanno a modulare una linea di condotta più interna, che non si occuperà delle proposizioni, ma delle immagini inquadrate nel testo e della loro gerarchia all'interno di una tessitura. La pausa perché l'occhio si fermi e si intrattenga. In certi casi anche tra soggetto e verbo, quando va sottolineato e marcato il senso di un  predicato verbale. 
C'è anche da dire che le forme stilistiche più moderne tendono a disseccare al massimo i segni d'interpunzione, così come certa poesia contemporanea.
Non contento, sono andato a esplorare quattro diversi mondi di scrittura, dove ho analizzato, da alcuni stralci, i vari usi della punteggiatura, per trovare forse pace...
Jerzy Kosinski, da L'uccello dipinto:
"Ricordavo i miei complicati tentativi, e come essi avessero sprigionato nel corpo della ragazza alcuni languori..." Era indispensabile questa virgola? Per una questione sonora sì. Per una questione visiva no.
"Quegli uomini sapevano che le loro mogli e le loro figlie desideravano Laba, e lo umiliavano..." Qui sembra una ripresa di fiato, meno soggetta a dubbi.
Ancora: " Laggiù, tuttavia, ero abbastanza sicuro dalle incursioni, e non troppo in vista".
Victor Hugo , da I miserabili:
"Ora mettiamo al riparo il suo cadavere, e che ognuno di noi difenda questo vecchio morto...", siamo nel cuore di un dialogo, con il cadavere di un vecchio, nei moti del giugno 1832. Lo scrittore deve centellinare ansia, scalpitio del cuore. La punteggiatura accompagna l'azione, tra l'altro senza la virgola avrei sentito un senso di piattezza. Nei dialoghi la punteggiatura è vitale.
"...il solo che non avesse abbandonato il suo posto, e fosse rimasto in osservazione", anche qui, Hugo adesso narra, ma è calato dentro l'azione. Le sue pause sono pause eccezionali o di scuola?
Javier Marías, da Domani nella battaglia pensa a me:
"C'è un grado d'irrealtà in quello che è capitato a me, e oltretutto non ancora concluso, o forse dovrei usare un altro tempo verbale, quello classico nella nostra lingua quando raccontiamo, e dire quello che..."
"...ma come avrei potuto telefonare al marito, che oltretutto era in viaggio, e nemmeno conoscevo il nome per intero".
"per il figlio vicino, che ignorava il mondo sotto lo stesso tetto, e per il padre lontano".
"l'odore, il reggiseno, il nastro, e sul nastro voci".
"tutto può essere ridicolo e tragico a seconda di chi lo racconta e di come si racconta, e di chi racconterà la mia morte...".
"Mi è venuta voglia di sedermi nella mia poltrona a fumare, e a leggere un bel libro".
Infine il Sanguineti di Rebus,  che apre un mondo di sfumature e di ritmi, dove rimane solo il sangue del cuore a decidere tempi, pause e cesure:
"il mio segreto, se ci tieni, è, in ogni tempo e congiuntura, questo: è la mia fedeltà"
"Un uomo, che porta un GE sopra una spalla destra, suda, per una sega".
Non credo nemmeno che si  debbano necessariamente separare le regole del poetare da quelle narranti. Il poetico è un fattore mobile e mutante, come il muco rosa o la mousse di una medusa, che può attecchire e bruciare in ogni luogo, dove ci sia lo spazio per avvertirlo o anche per ingoiarselo vivo, con tutti i rischi, gli azzardi e gli orgasmi che questo comporta.
Credo che sia necessario ragionare sulle proprie scelte di punteggiatura, esplorandone motivazioni di utilizzo nei relativi contesti. Quando si scrive è importante saper motivare all'occorrenza le proprie scelte, individuare i propri vizi o vezzi, ma sempre dopo essere passati per la visione sonora. Per me alcune riflessioni diventano motivo di grandi crisi, ma anche di grande divertimento, nello scorgere le possibilità infinite che si celano in un'avventura di scrittura!
È tutto.


venerdì 4 novembre 2011

Passaggio a livello su Starbooks Coffee:

giovedì 3 novembre 2011

Il blog di saRamandra e il suo mood ciclistico


Credo che la rete sia una fonte inesauribile di possibilità e di belle scoperte. Credo che lo sia, se vissuta però con lo spirito giusto. Non penso che sia un ingresso secondario o di servizio. La porta socchiusa con la buona musica, per attirare ragazze carine in un compleanno di quasi solo ragazzi. Basta visitare questo blog, che ho scoperto per caso, attraverso un link di Starbooks Coffee, per scoprire quanto vi sia di buono e di originale in giro. 
Di  solito mi imbatto in strane discussioni, con persone che separano la loro attenzione alla parola scritta, ai luoghi eletti di frequentazione e di consumazione della stessa. In effetti molte persone credono che esista la verità professionale – quasi sempre cartacea, naturalmente –, e poi la discarica del web, dove ogni tanto può affiorare qualcosa di buono, buttato via per caso. Io la penso in modo diverso. Un processo di scrittura, quando ha un suo mood,  si mantiene in piedi e si svincola dai possibili luoghi comuni, dalle definizioni e dai confini arbitrari che spesso diventano la sostanza, quando invece non lo sono. Perché li cancella. 
Per molti la scrittura in rete è uno sfogo, un gioco dilettantistico, una sorta di confidenza da diario intimo, nulla di più, o, in caso vi sia qualcosa di buono, è solo strumentalizzato ad attirare attenzioni su altri percorsi.  Questo anche perché è considerato un luogo accessibile, raggiungibile senza nessuna particolare prerogativa, rispetto a tutto il possibile resto, diciamo quello che richiede una certa selezione da parte degli addetti ai lavori.
Dobbiamo fermarci un momento. Sul blog in questione, quello con cui ho titolato il post di stamattina, emerge un bellissimo mood. Non conta per me un luogo fisico, quando avverto un particolare mood di scrittura, ma è certo che se questa scrittrice domani mattina pubblicasse una raccolta di racconti o un romanzo, andrei a comprarlo ad occhi chiusi. In effetti dobbiamo imparare a separare i contenitori dai contenuti, soprattutto in una fase di grandi transizioni e stravolgimenti. Quello che mi arriva da un solo paragrafo, o da una sola parola,  resisterà a qualsiasi collocazione o contenimento, cartaceo o digitale che sia, se avrà l'incanto di una sua sonorità.
È tutto. Mi auguro che il blog di saRamandra, abbia la fortuna che meriti, così la sua bella scrittura – mi sono sentito molto piccolo, dopo aver letto un suo racconto pubblicato sul suo blog. Mentre lo leggevo, avvertivo la leggerezza di una bicicletta di sera...
Buona giornata e a voi il link: La saRamandra

mercoledì 2 novembre 2011

Da uno dei "Due frammenti della vita di Pier Paolo Pasolini", di Attilio Bertolucci:

...così l'apprendista di filiologia romanza
ricorse alla lingua della madre
campì di smalti ladini pale d'altare e d'amore
ne ripeté a piè di pagina
in predelle a carattere minuto la dulcedo [...]

Attilio Bertolucci (Verso le sorgenti del Cinghio)

martedì 1 novembre 2011

Problematiche di scrittura

La problematica dello scrivere bene, è parte del grande fascino che esercita la scrittura, Il suo fattore problematico. La problematica dell'impalpabile. Quando tutto funziona, c'è sempre qualcosa da esplorare.  Il campo è profondo, in base alle ore del giorno, alle latitudini, ai venti, alla quantità di luce, cambia la mia voce e anche la mia foce, che darebbe vita alla parola pensata e quindi a quella scritta o appena descritta. 
La problematica è parte della ricerca. Vivo con semplicità la dimensione problematica dello scrivere. La credo essenza vitale del gesto e dell'impulso creativo. Non ha formule magiche, ma si rapprende della stessa simultanea complessità della vita non scritta, che è quella fondamentale. Anche la problematica della vita non scritta, che in molti casi diventa vita scritta, è fondamentale. La cosa bella, che prediligo nelle mie esperienze della vita non scritta o reale o di non finzione, è la possibilità di non sentire discorsi su come eliminare i fattori problematici del proprio movente creativo, o di come sia giusto creare. Nessuno mi ha mai incoraggiato a cambiare passo, mentre cammino, e nemmeno a cambiare la mano che impugna il coltello, quando mangio una pizza – quasi sempre devo tagliare con la destra, la stessa che impugna la forchetta, per cui sono costretto ad alternare le posate e le dinamiche in una stessa mano. Anche la mano che impugna la penna è tutta sbagliata, e in quel caso, nessuna maestra, fin dalle elementari, è riuscita a correggermi l'impugnatura, nonostante le continue insistenze.
La problematica dello scrivere, secondo me, è intrinseca e legata all'attività stessa dello scrivere, e non credo che sia sempre un peso, ma un ottimo fertilizzante, per fermarsi, respirare, riflettere, quando si è vivi e consapevoli di quello che accade nell'immersione di una session. Il metodo assoluto perché la scrittura sia libera da fattori problematici e sia perfetta, è la morte. La morte della vita scritta come quella  non scritta. La morte della creatività inglobata nel metodo, nella certezza della strada.
Un fattore problematico comporta strategie, moventi, possibilità di relazione, di corporazione, di reazione. È un fattore vitale. Ogni primo rigo o prima parola, sorgeranno problemi. Ogni passo di una vita reale o di finzione, sorgeranno ancora degli altri problemi. Ogni gesto, ne comporterà degli altri, sempre più complessi e problematici, così, quando si scrivono storie, le parole e i pensieri tradotti in parole, scateneranno tempeste, con reazioni a catena, fatti di cose scritte, e non scritte, pensate o non pensate. Lo scrittore non ha quasi mai l'ombrello, e a volte, come nel mio caso, si sente come Mr. Bean ad un torneo di Shangai.
Credo che sia naturale che la vita e i passi di un uomo e delle sue parole, siano intrisi di un fattore di insicurezza, o di ignoto. Quel tipo di fattore di rischio, pur problematico, potrebbe essere l'anima di tutto l'impianto. Non credo, quindi, alla possibilità di vivere un processo creativo come qualcosa di riuscito in partenza, né cerco soluzioni di soppiatto, nelle ultime pagine del libro. Né credo che essere bravi voglia dire non sbagliare, o arrivare prima degli altri o essere fortunati o fortunelli. 
Essere capaci in qualcosa, non vuol dire arrivarci necessariamente prima degli altri. Dove sta scritto! Non vuol dire riuscirci senza problematicità. Non esistono strade facili, ma nemmeno difficili. L'importante è avere la dignità del silenzio. Lasciare a ciascuno l'incanto intimo con il proprio problema e con il proprio affare creativo, che nella maggior parte dei casi si prenderà cura di lui. In entrambe le direzioni, c'è sempre un destino che gli eventi e le circostanze incoraggeranno, in un senso o in un altro. In molti casi la selezione naturale incoraggerebbe anche il caso. Un talento sarà attratto da altro, incoraggerà altro, nella sua vita, rispetto a chi talento non ne ha. Non è un merito avere talento, non è una colpa non averlo. La differenza è che un talento dovrebbe avere la sensibilità giusta per ottenere merito in un'attività che lo attrae e lo divora con violenza, e nel nascondere abilmente i suoi demeriti. Spesso bluffando, perché no? La differenza tra uno scrittore in gamba e uno che forse è di seconda classe, è quella di fare semmai le stesse sciocchezze quando scrivono, ma nel primo caso, quando lo scrittore ha una buona natura, quelle sciocchezze avranno un peso diverso: non si sentiranno come nell'altro, o non si vedranno, o saranno così ben mascherate da annullarsi, da confondersi o da creare anche del buono, vedi un po' la vita!
E spesso senza nemmeno saperlo. Non è quasi mai un atto di volontà, ma un meccanismo naturale, lo stesso che sensibilizza la fauna auotctona a nutrirsi di alcune erbe medicamentose, nei momenti di stress o di crisi, pur ignorandone la classificazione in botanica.
Concludo dicendo che quando scrivo, ho a che fare ogni giorno che passa, con una lingua straniera. Con una lingua misteriosa che non parlo, e che non è la stessa di quella che ho scritto e praticato ieri o ieri l'altro. Una lingua straniera ma problematica, per mia fortuna, perché è l'unica che riesce a sfiorarmi di una profonda intimità, con me stesso e con la mia vita, e al di là delle sue parole.