mercoledì 31 agosto 2011

Ultimo giorno di mese

Ultimo giorno di agosto. 
Dal punto in cui mi trovo adesso, un alternarsi di grandi chiari celesti e di vento, che mi toccano la mano mentre scrivo. Vedo la campagna e colgo ancora qualche suono, poco lontano.
Tra qualche istante concluderò una revisione piuttosto complessa, con delle varianti che non mi aspettavo di inserire. La chiudo in coincidenza di chiusura di mese, e con questa luce così vasta e particolare, non sarà nemmeno un caso.
Una giornata del genere sarebbe tutta da cantare, dal primo all'ultimo minuto, e non da misurare. Una giornata in cui, forse, ci sarebbe qualcosa da aprire, da inaugurare, e non soltanto da chiudere. Eppure arriva puntuale la malattia di un resoconto. La fine di un mese e di un lavoro di scrittura, come idea o istigazione per un altro inizio, o un passaggio diverso. Continuo a sentirmi oscillante nei mutamenti. Tra le aperture e le chiusure di mesi e di sfondi cupi o più  chiari, c'è sempre qualcosa che cambia e che muore di me. Qualcosa che perdo, che mi lascia la presa, all'ultimo istante.
Seguire la  rotta di quello che si vuole o che si crede di volere, scrivendo - ma non solo- o tentando di farlo, in diversi casi porta in direzioni diverse. In luoghi che non credevo. In mesi non iniziati e non finiti. 
Sarebbe bello cominciare un settembre in cui alla volontà di fare o di richiedere azioni alla mia macchina calda, ci si affidi ad altre combinazioni, ad altri ascolti e impulsi, anche se forse non si cominceranno o non si finiranno mai, ma dove ci si potrebbe ritrovare sorpresi da qualcosa di altro, di più piccolo, ma forse di più buono, rispetto a quello che si voleva e che si cercava di troppo grande.
Quanta affidabilità mi darà quel qualcosa che penso di volere o di raggiungere? Quanto davvero mi appartiene e non mi tiene invece nel suo pugno?  Quanto sarà così più importante di qualcosa di più leggero e silenzioso, di qualcosa che ha spinto di meno e che non avrò colto per tempo?
Varrà davvero questo la mia vita? Quanto qualcosa di ottenuto e di raggiunto dopo averlo cercato e voluto, senza nemmeno saperlo o capirlo? Sarà questo il recinto per cinghiali del mio linguaggio o il mio palazzo reale, illuminato a giorno? O quanto resisterà al tempo l'impulso arrogante dei miei programmi, delle mie certezze; la loro mascella selvatica serrata dentro il mio braccio abbronzato?
In questo momento sta arrivando un odore di caffè, credo appena fatto.
Buona giornata di fine mese e di grandi chiari...

martedì 30 agosto 2011

Due quartine in prova (Bozza 2):

Fioccando nevi e pensieri sul bagnato;
da questa distanza potrei avvertire
il battito annidato*, o il più terso,
e dal cotone l'affondarsi** del cuore.

La malattia del gigante di amare
e di spezzarsi in un primo bacio***
negli occhialoni più assenti,
l'altezza d'attimo dei tuoi occhi

celesti di muro sulle punte.

annidato: prima bozza: annottato
affondarsi: prima bozza: affamarsi 
bacio /negli: prima bozza: bacio, /negli

Da Alain a Faulkner:

Due brevi note, questa mattina, ma anche possibilità intense di riflessione e confronti.
La prima è una citazione di Alain, a sua volta citata da Gatto in un suo bellissimo scritto di accompagnamento ai suoi testi. La citazione è questa: "Qualunque cosa possiamo dire e qualunque possiamo imparare dai nostri discorsi, non potremo mai esserne del tutto infelici".
Credo che sia vero. Ne sarà valsa la pena. In ogni caso. Alcuni spunti hanno l'effetto di un fanale bianco che sbocca da una siepe. Hanno questa possibilità di rischiarare e di ricompattare una condizione. Le buone parole hanno questa possibilità, di attraversare certi confini e di fare luce al proprio interno. Sia da lette che da scritte.
La seconda nota riguarda un passo altissimo di Faulkner, che sentivo di riportare perché include una serie di caratteristiche preziose, da osservare con calma e in cui sprofondare. Asciuttezza, dinamicità, naturalezza, una compostezza e una chiarezza massime e spaventosamente efficaci. Poetico e semplice, quanto perfetto. Un occhio: "Tondo e vivo":
Eccolo:
" Un passero tagliò il sole di sbieco, si posò sul davanzale e alzò la testa verso di me. L'occhio era tondo e vivo. Prima mi guardava con un occhio, poi flic! ed era l'altro, mentre la gola gli palpitava più in fretta di qualunque pulsazione. L'orologio cominciò a battere l'ora. Il passero smise di cambiare occhio e mi studiò fermamente con lo stesso fino a quando cessarono i rintocchi, come se stesse ascoltando anche lui. Poi volo via dal davanzale e sparì".
William Faulkner da "L'urlo e il furore".

lunedì 29 agosto 2011

Selezioni Concorso 2011 Arbor Poetica. Poesie su immagini di Stefano De Francisci

La Giuria del Concorso Nazionale di Poesia a Premi ARBOR POETICA- Poesie su immagini di Stefano De Francisci – composta da Claudio Alvigini, Salvatore Contessini, Flaminia Cruciani, Fortuna Della Porta, Maurizio Soldini e Marzia Spinelli – dopo aver esaminato i 290 testi inviati da 175 autori in adesione al bando, ha selezionato 74 elaborati che saranno inseriti nel volume antologico “Arbor Poetica” e ha individuato i seguenti vincitori:

Primo classificato

SONIA ROSSI (Schiavon VI)

con la poesia “Orfeo”
Premio: la pubblicazione gratuita - nell’anno 2012 - di una raccolta di 40 testi – valutata dall’editore LietoColle.

Secondo classificato

MASSIMO CACCIA (Galliate NO)

con la poesia “Rifugio”
Premio: la pubblicazione gratuita - nell’anno 2012 - di una raccolta di 10 testi max 28 versi cad. – valutata dall’editore LietoColle, nella collana Solodieci.

Terzo classificato a pari merito

MANUELA D’ALESSANDRO (Milano)

con la poesia “Il sonno degli alberi”

DANIELA RAIMONDI (Gran Bretagna)

con la poesia “Cielo siderale”
Premio: la pubblicazione gratuita - nell’anno 2012 - di una monografia LietoColle di un solo testo a scelta dell’autore di max 28 versi cad.

Segnalazione di merito della Giuria

Antonella Facchinelli (Padova)

con la poesia “Voglio dire ora tutta la verità sul silenzio”

Elenco degli autori selezionati in ordine alfabetico e titolo della poesia

autore 
città 
titolo poesia 
ALIFFI Tiziana
Pordenone
Oltre il muro
ANNICCHIARICO Marco
Milano
Lasciarsi
BALZARETTI Cristina
Verano b.  MB
Il coro degli alberi
BARTOLUCCI Vittoria
Perugia
Istante
BAZZOCCHI ROLIH Chiara
Varese
Supposizioni
BECHERINI Loredana
Bergamo
Mosaico
BENEDUCE Ilaria
Frattamaggiore NA
L'alfabeto delle foglie
BERGNA Anna
Blevio CO
Spogliata
BIANCHI Gabriella
Perugia
Non temi la notte 
BISOGNO Marina
Torre annunziata NA
Verso casa
CACCIA Massimo
Galliate NO
Rifugio
CALAMITA Claudia
Roma
L'albero vita e il petto degli umani
CATINI LUCENTE Antonella
Roma
Seduzione
CIRILLO Roberto
Bresso MI
un sistema perfetto non ha fronde 
COLLETTI Giorgio
Roma
Di catene carboniose è fatto il mio mondo
CONDELLO Clemente
Lussemburgo
terracquaria
CONTARIN Maria Luisa
Torino
E il bianco di un piccolo melo
CORTI Rosa Maria
Lenno CO
Germogli di speranza
CRAPANZANO Mirella
Vidracco TO
Gli alberi lo sanno
D'ALESSANDRO Manuela
Milano
Il sonno degli abeti
DANNA Enrico
Torino
Lo sguardo oltre
DE ANGELIS Luigi
Roma
La riforma agraria
DE MARCHI Lella
Pesaro
dentro una sera imprecisa
DE VITA Patrizia
Roma
Mio padre è l'albero
DENTI Luca
Brescia
cercami 
DEVICIENTI Antonio
Orino VA
Le finestre
FACCHINELLI Antonella
Padova
Voglio dire ora tutta la verità sul silenzio
FOGLIA LEVEQUE Luca
Milano
1255
FRASCA' Fabiana
Napoli
Lignum veneris
FRASSI Maria Grazia
Robecco d'Oglio CR
Per vivere un cielo di gioia e di vento
GARAVAGLIA Laura
Como
L'albero di Magritte
GIORDANO Anna
Ariano Irpino AV
per na notte sola
GUARAGLIA Vanda
Stazzano AL
Inchinandosi al nuovo che esige più spazio 
LASCIA CIRINNA' Cettina
Erba CO
Il lago verde
LAZZARINI Paola
Caresanablot VC
Pianta ramificata 
LEO Irene Ester
Collepasso LE
Prodigium vitae
LEONI Stefano
Forlì
Non so dire se eri bella 
LERRO Menotti
Omignano SA
L'albero
LO IACONO Piero
Partinico PA
Unipatia cosmovitale
MANCUSO Enzo
Portici NA
Calco d'acqua - scatto
MANNA Anna
Roma
Questa mattina
MARTINEZ Daìta
Palermo
(intonazione degli specchi)
MARTINO Ketty
Napoli
Non vedo cielo e nuvole da qui
MARULLI Cinzia
Roma
Viale
MEGA Deborah
Manduria TA
La bambina dal cuore verde
MENCARELLI Emanuela
Roma
nel lento fremere del legno
MINOLA Luca
Bergamo
Brillare
MOICA Claudio
San Giovanni Suergiu CI
Briciole di te
MOLINARI Maurizio Alberto
Milano
Verso Sud
MORELLI Davide
Pontedera PD
L'ombra delle cose
MORETTO Luciana
Oderzo TV
Haiku arborei
MUTTI Chiara
Roma
Gemono gli alberi
NALLI Giuseppe
Ceprano FR
Un pensiero per domani
NASTASI Eugenio
Rossano CS
Prima di partire
NIRO Raffaele
San Severo FG
Macramè
NOTA Luciano
Pordenone
Stella riflessa
OLIVI Terry
Roma
Specchi di luce
ONÌRIGE Francesco
Roma
Adoro le palme
ORLANDO Matteo Maria
Corsano LE
Come il ramo più alto
PACILIO Rita
San Giorgio Sannio - BN
Caderti nel tronco
PICCINNO Claudia
Castel maggiore Bo
Coltri di oblio
PROSPERI Donatella
Trieste
Fragile d'eterno
RAGUSA Angela
Montesarchio BN
Il lampione e l'albero
RAIMONDI Daniela
Gran Bretagna
Cielo siderale
RANIERI Tullia
Roma
Ordito
RAVERA Elisa Rosa
Tradate VA
Corpo piccolo e tozzo
RIMI Margherita
Casteltermini AG
Anche quando non c'è più
ROSSI Maurizio
Roma
Chiaroscuro
ROSSI Sonia
Schiavon VI
Orfeo
SIMONI Piero
Livorno
Tranvai
TANZI Ivana
Milano
Verde navata
TARAVELLA Antonella
Verona
Il tempo delle piogge
TURRINI Ornella
Roma
Guardiano
VAZZANA Lorenzo
Gaeta LT
Presagi


domenica 28 agosto 2011

Ma io sono ancora contento:

Riflettendo:
sul prezzo di questa resa assoluta nello scoprirmi, e scalfirmi, attraverso un cupo codice di fuga o di ergastolo. Il suo costo e il suo senso. E forse il maglio che stringe e che divora l'ultimo spasmo di sereno rimasto?
Le luci basse dalla finestra, nella formazione di un altro viso, che mi guarda spettro o specchio indiviso. 
Nel mio percorso assaporo e subisco le pareti aspre e le più variegate del prisma, e chiudo un solo occhio, per affossare l'altro nell'incesto policromatico, se so ancora perdermi. Nel buio del mio balcone sento il polmone della quercia, lo sperma celeste dell'atomo, ma anche la muratura del linguaggio a certi sensori, a una pasta di vero non ancora toccata e affossata, per la resistenza, ancora troppo animale, all'annegamento.
Credo in una perdita più raffinata ma nemmeno mai e troppo colta, come incontro assoluto con il prunalbo e con il suo letame, attraverso la traversata, con le zone più intime del mio pensiero e non pensiero, forse mai raggiunte e nemmeno sfiorate o contattate a nessuna distanza. Da cui la relativa fragilità, di quest'appuntamento al telefono e troppo intimo nel punto focale d'incontro, senza occhi chiari o scuri che possano trattenermi: le pareti fulminate e fumanti, la parte dell'occhio schiuso che non ha ancora visto ma che cerca di descrivere e sopravvivere alle ultime luci possibili, dalla campagna laziale, con la penna nera e già scarica. 
Il mio mondo di sogno e di scrittura, è l'appuntamento con un ultimo spettacolo. La sala è piovigginosa di poesia e di provincia. La torcia della maschera ancora (s)fuma sulle persone addormentate. Le acconciature delle signore sono fuori moda, già passate; la musica blu del pianino è fuori tempo.
Ma io sono ancora contento.

p.s.
sarà forse solo questo il senso?

sabato 27 agosto 2011

Le gambe mosche, di pomeriggio

Pubblicata sul sito di Lieto colle- libriccini da collezione.

venerdì 26 agosto 2011

Nuovo store per "Il disabitato"

Eccolo: Ebookizzati.com
Nota:
Per una conversione da pdf al formato ePub, ecco un altro link: online-convert, dove vi è anche la possibilità di selezionare il modello del proprio e reader prima della conversione:


martedì 23 agosto 2011

La forma antifrastica. L'iterazione con doppia funzione

Due esempi vivi, ma di purissima tecnica, che inserisco senza aggravarne lo spiazzamento del nesso etimologico, ma gustandomi il contatto vivo e squisito con le due possibilità formali dall'officina di due poeti italiani.
Segue un esempio lampante e raffinatissimo del Pascoli, nell'utilizzo della forma antifrastica, estratto da "I gemelli"da "I Poemi Conviviali". Includo le due zone diverse, con segnalazione del numero dei versi, dove avviene il delicatissimo effetto misterioso e speculare tra le due coppie di endecasillabi, leggermente e sapientemente variati al loro interno. (Da notare le congiunzioni in anafora dei versi 55-56).
(Versi 29-30):
Il giovinetto si chinò sul fonte,
e la fanciulla apparve su dal fonte.
(Versi 55-56):
E il giovinetto s'alzò su dal fonte
e la fanciulla sparve giù nel fonte.

Per l'esempio dell'iterazione, (con una funzione doppia, sia ritmica che semantica - vedi edizione Einaudi curata da Dante Isella- utilizzo invece dei versi del Sereni,estratti da "Strada di Creva" (Frontiera):
(Versi 16-17):
[...]Ma dove ci conduce questo cielo
che azzurro sempre più azzurro si spalanca. [...]

Credo che sia sempre la pratica attenta e ispirata di lettura, a convogliare la mia personale attenzione sulla dimensione tecnica. Una questione di attrazione, soprattutto. Sono sempre i momenti più attraenti e seduttivi, che mi invogliano alla successiva immersione, e mai il contrario. Deve avvenire una condizione necessaria e imprescindibile di richiamo naturale, perché un procedimento tecnico mi ritorni chiaro, nel tempo. Un effetto profondo di nostalgia per l'effetto originato da un certo costrutto, più che di mera curiosità per la maestria utilizzata. Forse perché, in primo luogo, mi interessa prima il cuore e poi la testa di chi scrive. Ecco perché trovo fondamentale dare i nomi solo a cose già vissute e percepite in nuce da illustri anonime, o da (im)perfette sconosciute.











lunedì 22 agosto 2011

La fame del chiaro.

Nella cura e nella possibile attenzione che riesco a dedicare al lavoro e all'interesse di un mio linguaggio, avverto sempre di più la necessità di una chiarezza, di una certa significante costante, o logica di gioco, attraverso cui queste strane costruzioni dovrebbero muoversi o anche affondare. Il terreno, il tipo di grana, la sabbiosità, il profumo del tufo nel fango o alla luce diretta e solare, saranno possibili componenti e varianti dove muteranno di colpo gli scenari e le risonanze di ogni parola. Il loro contesto, il loro sfondo primigenio, che sarà poi anche il luogo predestinato e oscuro dal quale dovranno partire e arrivare.
Non credo che avvertirsi chiari o immersi nella chiarezza massima di un intento, nella prima pulsione o intenzionalità, dall'attacco di un certo testo o di una prova di un  verso mozzato, possa escludere la nebbiosità, l'ansia della traversata o il relativo malcontento che ne deriveranno, per l'eventuale assenza di un certo bagliore ricercato, del filo di cotone che leghi il proprio intento in un alveo ben definito. Ancora peggio se questo bagliore, invece, si avverta prepotente ed efficace da parte dei controlli successivi e serrati dell'autore, e svanisca invece, come un filo rosato di Orplid, una volta incontrato un qualsiasi sguardo estraneo e appena più attento di lettura.
Penso soltanto che ogni esercizio necessiti di una calma interna e profonda di posa, che non sempre l'impulso stesso riesce a consentire e a consentirmi. Una strana lacerazione tra la selvaggina del pensiero fisico di scrittura, e il calore di una balia accogliente, che dovrebbe accudirlo prima di una possibile schiusa. Dove risiede la magia, o la noce dell'incanto? Nell'impulso primo o nell'incubazione? O in nessuno dei due? Non si è mai troppo accomodanti, il filo del cotone lascia spazio ai colori di un filo di corrente, dove a volte allungo il dente con tutta la lingua. 
Quindi una certa chiarezza di conduzione del gioco, a un certo buon punto di cammino, andrebbe imposta, come corrente necessaria, scambio di rotaia perfetto per il successivo traguardo, o anche- e ancora meglio-, interrotta se non conduce il calore giusto. 
Non ho mai certezze, dal primo attacco di un rigo fino al punto in cui mi fermerò. E se fosse proprio lì il seme di una possibile e potenziale chiarezza? L'origine atavica e rabbiosa di questa fame di chiaro o di sereno?
Spero di ritornare a giocare nello stesso groviglio. In questo momento mi è impossibile: non c'è quasi più vento.

sabato 20 agosto 2011

A Varna dal balcone. Ore di Praga

Sono due titoli di testi di Nazim Hikmet, che mi hanno costretto, mio malgrado, a ritornarvi più volte sopra, giusto ieri sera. Credo che avrei passato l'intera nottata in questi atterraggi e piccole esplorazioni del loro interno . Si tratta di una sensazione o tentazione all'irresistibile, specie per un poeta dal canto spianato e selvatico, dalla grande libertà nel verso come lui. Così dall'introduzione di Joyce Lussu: " Tuttavia la critica letteraria ufficiale l'ha ignorato, sconcertata dall'enorme libertà e varietà delle sue forme poetiche, e dall'impossibilità di farlo rientrare in un filone letterario noto e definito", ma intanto, pensavo e ancora ci penso, quanto costa costruirla questa sconcertata mole di libertà, di spazio selvatico, di canto autoctono e a volte sgolato in pianissimo? Sarà davvero un gesto pittorico così più facile? Quanto pesa lo sconcerto dell'anarchia dalla forma, dalla sicurezza di corte di certe ortodossie o regole (in)definite? In certi lampi di immediatezza e di grande calore, mi accorgo che vi sia una bellezza molto sicura, affilata, soffusa ma anche poco cesellabile e verificabile a ritroso, perché nata dalla violenza e dalla fame dell'istante e non dalla sola maestria della buona fucina. Ma il confine rimarrà nell'ombra, in traslucenza, per fortuna, - forse.
Venendo ai nostri testi:
A Varna, dal balcone "la luce senza fine", è quella che avvolge e travolge l'intera scorsa, il sapore dell'occhio stanco e più vivo sulle cose, attento e trasognato, ma senza un tempo:
"I turisti polacchi scendono verso la spiaggia,
biondi rosati e nudi".
Un'esattezza che non spigola, non tosa e non tasta troppo, ma lascia camminare di respiro le figure, al loro nitore, al battito materno del loro passo, in quella stessa luce vasta e pulita di partenza.
"Dello yogurt nella tazza azzurra", ancora in questi piccoli e nitidi squarci che sposano e si perdono nella bontà generosa dell'insieme. Una bontà fortunata, del vivere nel poetare ma soprattutto nel mietere vita intorno a ciascun filo di immagine.
E le stesse luci di "Ore di Praga", si posano e si smuovono in un simile respiro di filigrana
"A Praga mentre biancheggia l'alba
la neve cade"
o come, più avanti
"La città di Praga è incisa  su una coppa di vetro
incisa con un diamante",
dove forse affiora il luogo assoluto della sua visione particolare e speziata, e delle sue prime luci, ancora così ostinate, che sembrano sempre sul punto di spegnersi o di ritrovarsi appena accese sugli oggetti, in una sospensione instancabile, ma equilibrata:
"Poi d'improvviso, limpida,
allegra, fresca, una luce turchina
è scesa sui castagni.
Dolcemente si espande",
forse sarà questo il seme più puro e quindi più vero, di quella sua sconcertante fame-visione di libertà?

Ultima nota:
Ho regalato, per uno strano caso, dovendo provvedere all'ultimo momento alla sostituzione di un testo sbagliato, il mio primo volume di Hikmet. Il secondo e successivo, mi è stato invece regalato, in uno strano ritorno di sostituzioni, o di destino. Questa sua luce sospesa di poesia, doveva forse spettarmi comunque, senza che più la cercassi o che me ne liberassi in qualche modo?


mercoledì 17 agosto 2011

La necessità o tolleranza della solitudine

Mi accorgo e avverto di quanto sia importante e necessario ricercare un solco di solitudine nel proprio percorso di scrittura, e non tollerarlo, come spesso capita.
Penso che una solitudine ricercata e sentita nel profondo come preziosa, abbia un suo - pur se doloroso - spessore e una grana diversa da un'altra che è invece subìta, tollerata, dopo una fallita strategia di evitamento della stessa. Il mio concetto non è legato all'incubazione, alla fase naturale di costruzione e costrizione di una propria struttura in prosa o in versi, per me adesso non cambia. Ma nella fase successiva, quella del lavoro più o meno completato; quella in cui lo sforzo ormai trascorso dovrebbe consentire quella certa fase di confronto, di condivisione e riscontro, a volte di possibile conforto e quindi unico nuovo passaggio obbligato per una certa maturazione, lo stagno adatto per il girino: ed  è proprio il punto cruciale
dove si abbassano
tutte le prime luci
è mozza la corrente intorno,
o si accende solo
in altri vaghi luoghi,
già determinati in origine,
serviti forse da altri
o più alti tralicci teschiati...
e ancora: dove il peso
del mio disegno (s)tremante
diventa come l' invisibile,
o alquanto il più molesto.
Il mio suono stridente,
triste e ridicolo,
come un  clacson
o una cagnara
un gran fischiaccio
di primo pomeriggio
dentro un vicolo.
Non trovo motivazioni
al fitto deserto
che costringe il mio passo,
se non la grande opportunità
di svezzarmi in un a solo 
dalle bianche dune  bollenti,
la geografia verzicante
e torpore di miraggi,
il gran bel sedere rosso
di un'odalisca bruna
che mi straripa addosso
il suo vento spassoso
da una sola piuma.

martedì 16 agosto 2011

I poeti immaturi imitano

Credo che si tratti di una citazione critica di Cruickshank, elaborata da Eliot, in relazione a Philip Massinger, alla natura del suo metro, ai suoi tragici debiti stilistici, ma rimane così universale e attraente, da poter essere insidiata della sua natura perniciosa a qualsiasi contesto letterario, poetico e anche narrativo, senza troppi limiti contestuali, almeno a mio parere.
Il punto in oggetto che ho  scorporato è il seguente:
"I poeti immaturi imitano; i maturi rubano; i cattivi poeti svisano ciò che prendono, e i buoni lo trasformano in qualcosa di migliore o almeno di diverso".
Potrebbe apparire semplice, ma è nell'intercapedine di questo piccolo confine, che si delinea spesso l'abisso. Insondabile.
Buona giornata.

sabato 13 agosto 2011

Prima lettura

Appena acquistato questo volume, non ho resistito, ho cercato la prima panchina disponibile - mi è comparsa a pochi metri dalla libreria, una ben soleggiata di fronte a uno strapiombo di mare - e ho aperto. Attaccare un testo per fame, per fame da lupi, in una situazione di luce tragica e naturale, ha un sapore così difficile da codificare a se stessi e quindi da comunicare.
Il testo in luminosa questione, è "Il bosco sacro", di T. S. Eliot, una raccolta di saggi sulla poesia e sulla critica, che da tempo cercavo e che non avrei immaginato di apire per la prima volta  in una situazione così particolare e luminosa, in pieno mattino, quando mi sono addentrato in uno di questi straordinari condotti e passaggi sul fuoco:
"Ma ci accorgiamo che non siamo in grado di definire neppure la tecnica del verso; non siamo in grado di dire dove comincia e dove finisce la "tecnica" [...]e ancora più avanti: "... il sentimento, o l'emozione, o la visione risultanti da una poesia sono un che di diverso dal sentimento o dall'emozione o dalla visione che erano nella mente del poeta".
Credo che questo aspetto dell'introduzione al testo, sia cruciale e racchiuda un elemento fondamentale, che potrà fare chiarezza, o stimolare verso nuove oscurità, il critico o l'appassionato, o l'affamato, che esiste di più solo quando non resiste. In effetti mi accorgo sempre di più che l'interesse acuto verso certe forme letterarie o comunque verso un po' tutta l'atmosfera sprigionata da una fitta frequentazione con le creazioni e le creature che si compongono e insieme si dissolvono nelle loro stesse creazioni, si basi in primo luogo sul cedimento, sulla sconfitta, sull'impossibilità di resistervi, e forse solo in questa trasgressione, sul sentirsi  ancora più vivi e (r)esistenti.

giovedì 11 agosto 2011

Presentazione "Giallo in Trastevere", di Letizia Triches


 Venerdì 12 agosto 2011 ore 20,00

Libreria "Due strane lune"
Via Civita Farnese, 69 - Itri
presentazione del libro di Letizia Triches "Giallo in Trastevere" Edizioni Pendragon.
Ne parla con l'autrice Valentina Esposito.



                                

Prova (spas)modica notturna (bozza)

Dal mosto futo della nottata
sciaborda il tannico buon sentore
di un passo mesto e gufesco
e smuove il pastoso sentiero
verso i picchi a stellarsi e già itrani,
sbocciando il buon vociare
di una cupa processione
che si allontana più fitta
la pomata del maroso
dalle luci ramate dei ristoranti,
insabbiati dal fitto vociare 
e straniero nei cappucci,
sulla polpa filante
del pesante acquitrino,
i buchi grigi e neri
dei tuoi occhi di ortiche.


mercoledì 10 agosto 2011

Luci d'alba da un millesimo post

Millesimo post. Strano compleanno fatto di niente, dileguato.
Sarebbe originale e forse anche giusto, lasciare bianco e intonso il riquadro di questa mattina, in onore alla perfezione della vita, sulle parole mute e possibili che possono tentare di incamerarla o tentarla in una certa scardinata costruzione e costrizione estetica.
Così trovo una via di mezzo, e racconto solo di un brevissimo tratto che ho passato e trascorso quest' oggi, di buon mattino, di questo buonissimo e delicato mattino, in un viale privato, di passaggio perché abitudinario di un certo sonnolente jogging, e di quella lampada ancora avvolta del buio fiacco dell'alba, lucina ritardataria della notte, che rimava il suo riflesso sul bianco ghiaccio e rupestre di una facciata nobile e corsicana di una villa tutta bianca, che orna da sempre la mia scorciatoia. Quell'attimo di luce, così sofisticato ma a tratti quasi inesistente, rappresenta il seme di quella continua tensione, di quell'invisibilità che la molestia dello scrivere o del tentarlo avanza, in modo sconcio e sguaiato verso la mia possibile pace, il candore dei miei passi silenti di gomma sulla strada. E subire il conflitto di questo deposito di particolari e di convenzioni, il pensare il tutto che mi accade e che non mi accade, scrivibile e descrivibile, cercando di capire quanto tutto questo mi avvicina o mi allontana dalla mia vita. Quale istante sfiatato o raro, sarà così prezioso da essere condiviso e trasferito o murato a mano, e avrà mai la stessa resistenza, grana e modernità del fatto reale, crudo, lucido che mi è appena capitato e che nessuno al mondo avrà intercettato, almeno in quel preciso frangente. Se quella luce che ho visto ancora resistere alle ultime pennellate di alba sulle ville borghesi in discesa, avrà poi mantenuto nell'effetto ombrato della memoria, il viola bosco del prato inglese nascosto dal cancello elettrico, o il sorriso della contadina di fronte che dorme e che non si è mai vista viva a quell'ora, ma che rimane presente e investigata nell'odore di un fuoco acceso. Tutto questo è assolutamente irreale, e potrebbe non essere mai esistito se quella lucina fosse rimasta spenta, o mozzata in automatico anticipo, o ancora: se questo mattino non fossi passato di lì:

Lungo la discesa di un viale privato
la luce smorta sulla costa di muro
imbarbarisce il mio passo dolce di gomma
nella panna calma e violetta del prato.
L'odore maschio di prunalbo maturo.

martedì 9 agosto 2011

Modalità e ricerca formale. L'istigazione

Non sono ancora così convinto che durante un qualsiasi metodo o processo e istigazione alla versificazione, uno scrittore utilizzi un motore così diverso rispetto alle dinamiche e istigazioni alla prosa. C'è da dire che ogni scrittore vivrà e maturerà i suoi interessi, i suoi processi e le sue maledizioni e istigazioni a certe forme, nelle modalità che più gli si aggradono, ma penso anche che l'origine di un pensiero creativo, non abbia necessariamente, lungo un suo itinerario e in embrione, un comparto che lo definisca fin dalle sue origini più o meno poetico, o quindi meglio versificabile. Non sempre, almeno, uno scritto si riveste di una sua definitiva struttura formale dai suoi primi bagliori.
Quando lavoro sui versi, mi ritrovo a valutare l'utilità del concetto di destinazione e di istigazione, di un qualsiasi spasmo o movente che mi intriga al momento, e mi accorgo che diverse volte si dimentica il senso già compiuto dell'operazione o dell'esercizio in sé, contro tutto quel misterioso resto, che rimarrà sempre avvolto in una nuova ombra, senza che se ne definisca fin dal principio l'oroscopo, se alquanto pianificato il pregio della razza, la fruibilità, la consistenza, il valore. Non è necessario valorizzare fin dall'inizio il rutto emotivo che sfora in un certo linguaggio, o nell'istigazione alla fascinazione del versicolo, ma custodirne e preservarne lo spirito di fondo, il tipo di energia, di coinvolgimento e rapimento, e di relativa gioia e distensione in un alveo rassicurante e preconcettuale, lontano da quel resto classificatorio e sentenzioso a cui alludevo, di cui è rappresa buona parte di certa vita letteraria, che osservo nel silenzio. L'approccio psicologico alla stesura, anche di una sola parola, immette colui che scrive o che ricerca, in una condizione di estrema delicatezza e vulnerabilità, abbassando in quel solo istante il suo impianto immunitario, anche se un solo pensiero troppo ortodosso e macchinoso, travalichi un attimo quella sottile patina e parabola di fumo.La campana di vetro e la camera d'ossigeno.
Scrivere bocconi, con il fiato corto ma con la più grande disinvolta estraneità al destino fatale dell'istante futuro, è una forma rarefatta e pura di talento, che concede quanto meno la magia dell'istante o abbaglio creativo, e la possibilità di rendere forte e maestoso, un momento raro di fragilità e forse di dolore, anche con un polmone solo.
Credo che in un percorso di ricerca e di investigazione dei propri mezzi e orizzonti linguistici, il condizionamento al giudizio e all'ipotesi eventuale e successiva di valore, sia un'interferenza radio molto negativa, in particolar modo in certi ambienti, dove si contano e si non si ascoltano le parole e dove si confrontano opere di altri autori, autori spesso con altri pensieri, moventi e istigazioni, con altre sensazioni, e storie e dolori, e quindi mai troppo confrontabili.
Che si tratti di versificare o di provare strutture di racconti, di aforismi, di romanzi, va preservato e protetto quel certo limbo immaturo e nebbioso in fase di prima carburazione, che consentirà da solo di accedere all'esperienza glaciale e diretta non condivisibile, e senza aspettarsi troppo e altro, ma risucchiando al massimo il siero ghiacciato di quella seduta solitaria, o di quel getto sporco di fumo, che in ogni caso avrà rappresentato una forma privata e incondivisibile di nutrimento. La suprema istigazione.

lunedì 8 agosto 2011

Prova d'Istantanea marittima:

Dalle ringhiere i gomiti bruni
di suore ragazze con gli occhiali,
che guardano avvincersi corridori anziani
in un lungo filo di fumo umano;

accanto l'auriga serale del mare
che conduce svogliato il suo (c)occhio

dove ancora più al largo freme il coito
di una coppia di magri surfisti asiatici,
dai costumi neri slacciati nel buio
alla cupola sbucciata della boa rossa,
prima che il petrolio della notte
li travolga vivi nella sua fossa.

domenica 7 agosto 2011

Beato te...

...diceva la cassiera
dalla sua pettinatura 
da una magra Domenica
a mio nipote duenne
che cavalca il carrello
di una spesa e poi:
diceva del calcio
di un sorriso blu discount,
Beato te...dopo aver sospirato
e io che guatavo
con orgoglio filosofo
e metamalinconico
lo sputo del bambino
nella busta rotta
e biodegradabile,
il verso scassato del tempo.

sabato 6 agosto 2011

Moventi

Immaginando la ricerca di un equilibrio, come la palla rossa in bilico luminoso sul naso della foca bagnata. Sintonia sinfonica degli opposti, quando il semplice coniuga e trascende il complesso. Equilibrarsi così, in un certo magrino intento e (s)consolatorio, è alquanto rischioso se non si passa per la sponda opposta. Attraversare e non raggiungere subito, forse anche non raggiungere mai, ma attraversare, o meglio: traversare il proprio movente oscuro nell'azione di scrittura, senza troppi sbalzi focheschi e smorfiosi. Non credo che servano trucchi, espedienti, o comunque questi potranno appena suggellare un certo equilibrio se accompagnati all'asciuttezza e alla solidità di un passo maschio e robusto sul muschio, che conosce la striscia della vipera come il lucore dell'ultima lucciola di una notte. Esisteranno così equilibri stilistici statici e imperfetti, erosi dal cattivo gusto del proprio artifizio ben riuscito e conclamato, incoraggiato dalla tendenza; equilibri concettuali, nozionistici, pragmatici, che non avranno altro se non lo splendore dei loro contrappunti e il consenso dei giudici eletti alla direzione di fuga. Così come nel farraginoso e nebbioso percorso di una ricerca senza mode o tendenze precostituite, si potrà scorgere una certa linea celeste, in incubazione, verso una forma debole e accennata di ribellione al sicuro, al troppo definito e confezionato, certo, cerebrale e celebrato dagli specialisti già troppo assonnati e poco curiosi,- forse furiosi, più che curiosi. 
La prassi letteraria non è una roccaforte di certezze, ma di voci e di ombre in mutamento. Di apparizioni fugaci e di sparizioni, in un luogo irreale ma pregnante ancora di vita e di boscacci profumati di temporale. Un accenno velato e tremolante di una Nereide ansiosa e presaga, il fantasma di una sua impronta spumosa sull'asciutto, nel mezzo sonno di un Poema Conviviale e lontanissimo, quanto moderno nella notte delle idee.
La certezza di questa sacrosanta e altisonante incertezza, allo stadio attuale, è l'unico guado che mi attrae. Non cerco altro che gustarmi e guastarmi la risonanza, il suo tentennare e stonare nel mezzo crepuscolo. Sarà anche questo il motivo per cui non mi prefiggo un solo copione e una sola scadenza al mio movente, ma cerco di addentrarmi attraverso la sensazione e non attraverso il concetto puro di sentito o di avvertito e riconosciuto valido per convenzione, nel moto perpetuo dell'avventura malinconica e straordinaria della finzione.

mercoledì 3 agosto 2011

Mi basta

Da un'epigrafe a uno dei suoi Arabeschi, Anton Shammas citando Walter Abish prima del capitolo de "Il narratore" :
Gli scrittori non sono molto degni di fede come testimoni, sia a carico che a discarico. Ma non ci si può fidare di loro neppure come amanti. Non hanno pazienza.

Mi basta. Lapidario, ma stimolante alla riflessione serale.

martedì 2 agosto 2011

Extrait: il Disabitato:

"Una persona si traveste e si investe di un suo doppio privato, per particolari impercettibili e spesso trascurabili, che appaiono dal nulla e possono rivoluzionare e trafugare un intero insieme. A volte ignorato. Che quando ne scopri una modifica, un nuovo accessorio, basta guardarlo per un solo attimo, senza ritornarci più su, e quella persona risuonerà di un incanto diverso,  di una luce morbida e insulare, che potrebbe ritornare ancora più lontana o più familiare nel giro di pochi secondi. Il tempo di una virata di occhi, di una scia di profumo, di un colpo di tosse, di pettine, dal finestrino aperto di un auto in corsa, di una latrina. La sua reazione a quello che si avvertirebbe di lei, continuerà ad accoppiarsi e a inventare nuovi mondi paralleli di esplorazione".
Luigi Salerno da "Il disabitato".