lunedì 28 febbraio 2011

Citazioni letterarie a romanzo. Prove generali

Ecco di seguito alcune delle citazioni che sto analizzando per inserirle in apertura del mio romanzo "Il disabitato".

1)
Il monte Kâl è una pietraia. Ma io sto bene con lui. Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: sì le mie mani s'incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa. Io sono come te freddo e nudo, fratello. Sono solo e infecondo.

Scipio Slataper

2)
I prati risalgono verso le borgate senza galli, senza incudini. La chiusa è aperta. Oh, i calvari e i mulini del deserto, le isole e i covoni.

Rimbaud.  Les Illuminations

3)
Ma lei
caro signore
non se ne accorge
perché lei da tanto tempo
credo
da un decennio
o forse ancor più
vive ininterrotamente
in un buio totale
molto simile
a quello che ora sta calando qui.

Thomas Bernhard. L'ignorante e il folle (Teatro)


domenica 27 febbraio 2011

Due aforismi di E. M. Cioran

Quante pagine, quanti libri che furono per noi fonti di emozione e che rileggiamo solo per studiare la qualità degli avverbi o la proprietà degli aggettivi!

Fallire la propria vita significa accedere alla poesia – senza il supporto del talento.

E. M. Cioran da Sillogismi dell'amarezza (Atrofia del verbo)

venerdì 25 febbraio 2011

Carver e il tipo di scrittura

"In una poesia o in un racconto si possono descrivere delle cose, degli oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso e dotare questi oggetti – una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di un potere immenso, addirittura sbalorditivo. Si può scrivere una riga di dialogo apparentemente innocuo e far sì che provochi un brivido lungo la schiena del lettore – l'origine del piacere artistico, secondo Nabokov. Questo è il tipo di scrittura che mi interessa di più".
Raymond Carver

giovedì 24 febbraio 2011

Sturm und abfluss di Marco Palladini

Sturm und abfluss  di Marco Palladini.
Ho letto questo testo breve di Marco Palladini qualche giorno fa, trovandolo molto interessante e innovativo. Così ho pensato subito di condividerlo.

Scaricabile gratuitamente dal sito "La città e le stelle" nella collana Taccuini.

mercoledì 23 febbraio 2011

Immagini dal Lorelay (Appunti inediti)

Ricordando le canzoni
suonate dall'atrio annottato
di un albergo a Sorrento.
Le voci che cantano,
ascoltate nel mio letto,
rigate le pareti dalle imposte
da un lampione avorio
e riconoscere le voci del giorno
diventate palme ornate negli occhi.
C'è quella del medico egiziano
con la sua moglie molto chiara,
qualche straniero dalla schiena
scottata a sangue,
la voce di mio padre che canta
e che dopo canta o racconta,
e la chitarra appena scordata
che lo dimentichi nella notte.

lunedì 21 febbraio 2011

La compagna di classe su Musicaos


Il racconto La compagna di classe, di Luigi Salerno su Musicaos.it  dello scrittore e critico letterario Luciano Pagano

A kind of intensity

Credo di adorare profondamente l'atto della scrittura.
La sua particolare intensità. Penso che sia la cosa fondamentale.
Che io abbozzi un appunto, che scriva un post, l'incipit di un racconto, di un verso, di un romanzo, prevale la stessa qualità intensa dell'atto, al di là di quello che possa accadere e verificarsi attraverso.
Se non è così intenso allora non scrivo.

domenica 20 febbraio 2011

Patrizia Cavalli e la saggezza dell'intarsio

Arrivo all'analisi testuale dei versi più amati e riletti, nel tempo, sempre dopo la folgorazione del suono, dei momenti di luce, di maggiore incanto e introspezione dell'impianto prosodico. Una volta aperto il varco, si potrebbe proseguire all'infinito, a identificarne dinamiche oculate e volontarie, o esaminare quanto sia accorto l'istinto e quanti equilibri, rinforzi e piccoli incantamenti, possono riservarsi a una rivisitazione più tecnica di uno stesso testo.
Conosco la poesia di Cavalli da due testi fondamentali, entrambi dell'Einaudi:
Poesie (1974-1992) e Sempre aperto teatro, raccolta successiva di qualche anno, credo il 1999, e inclusiva di quattro varie e interessanti sezioni, delineanti, secondo la critica, un vero e proprio canzoniere contemporaneo della sua poetica.
Ritornando al primo testo, ho letto e ho fermato l'occhio, su di una sequenza molto ariosa e distesa, un vero e proprio squarcio dinamico, con le sue punte di fuoco e le sue virate di camera. Eccone una parte:

...Non lascerò che il volo degli odori, l'aria
sbattuta dai suoni e dalle ali, i rapidi baleni
di un piccione che si rispecchia nell'ombra
della grondaia, che ne ricama il bordo
passeggiando, che si getta nel vuoto per poi
risalire....

Quello che trovo sempre più accattivante nell'investigare e nell'arrendersi simultaneo alle questioni poetiche -credo che tutta la vita e le sue tensioni, nodi o dissonanze e tutti i suoi misteri, abbiano a che fare in qualche modo con una questione di poetica - è il fatto che gli strati, le luci e i paesaggi e tutto quello che la purezza del pensiero ti lascia affiorare, hanno sempre un'infinita mutevolezza e profondità di sviluppo, come se potessi scorgerli da prospettive e da altezze sempre più diverse, e notare sempre quel piccolo particolare, a volte inosservato, che può accelerare, rallentare e cambiare di colpo l'insieme più fitto o a volte afflitto di quell'unico cosmo.
Questo squarcio ha modificato la mia percezione ritmica nella lettura: l'aria sbattuta dai suoni; i rapidi baleni; ricama il bordo passeggiando..., sono una serie di lampeggi, di fotogrammi in perenne combustione, che rendono assolutamente teso e sgranato il tessuto visivo e di ascolto. L'aria sbattuta, mi riporta alle imposte, al tremendo effetto di alcuni venti su legni di vecchie case nella notte, o sull'impermanenza, sul piccolo, e anche l'effetto della profondità, così immediato, lucido e squisitamente cinematografico: il piccione si rispecchia nel'ombra della grondaia, una figura semplice e comune, che viene ammantata da una grana di riflessi e di strane voci, che lo rendono parte di un apparato superiore e sensitivo. 
Questo piccolo ispirato affresco, è una folata che alterna grandi girate di specchi e di lastre sulla realtà riflessa e accudita dalla sensazione viva del poeta. In alcuni momenti i termini e la forza verbale murano e slanciano l'immagine con una perfezione e una grande capacità motoria, così  come il volo degli odori, l'aria sbattuta, il piccione che si getta nel vuoto, trovano nella loro immediata correlazione il cappio della presa visiva, l'attimo pensante del lampo che dà forza e limpidezza al linguaggio.
E frugando nel motore interno dei versi, ecco in rinforzo al filo di elettricità della sequenza, una raffica di assonanze e tensioni allitteranti:
lascerò, odori, aria, rapidi, rispecchia, ombra, grondaia, ricama, bordo, risalire, trascinino, strade, colpire, stupore,, sbattuta, suoni - e tornando alla prima sequenza -, lascerò, azzurro, intravisto.
L'orologio ha tutte le sue parti in ordine e può battere il suo tempo poetico, senza stenosi e ostacoli di sorta e con miracolosa semplicità.

sabato 19 febbraio 2011

Sanguineti e il bene culturale

Solo da una ballata così, poteva riemergere l'incanto di certa pregiata fucina. Sanguineti parla del buon lavoro, traducendo in valori lo stesso suo gesto. Lo stesso incanto di mestiere. La feroce umanità.

Dalla prima strofa di Ballata del bene culturale, da Ballate (1982-1989):

"dove l'uomo ha lavorato bene, lì è il bene, per l'uomo:
lavoro sopra lavoro, gli è già abitabile il mondo:
qui c'è la stazione dei treni, qui la trottola gira e rigira,
il prato sta bello innaffiato, il tostapane funziona:
anche la mano, per l'uomo, gli è diventata già umana,
e c'è il ditale, c'è il guanto, ci stanno le buone carezze:
Edoardo Sanguineti

Già questa prima strofa, mi commuove. È ricca di semplicità e di profondità. Sanguineti parla all'orafo, all'astronauta, o al contadino. Il tostapane potrebbe innescarsi con gli anelli di Saturno o con un officina atriale del miocardio dove pulsa un embrione di cultura dell'uomo. Il suo respiro travalica e include e attraversa l'uomo come la sonda di un'angioplastica. Lo trovo un poeta cometa, un poeta medico e mago. Che lascia la sua linea e la sua luce, senza la necessità di specificarla troppo. Il Sanguineti delle Ballate, mi lascia nella bocca questo sapore di gustosa e faticosa universalità e di terroso e umano candore.
Così nel penultimo verso:
persino l'uomo, per l'uomo, gli può diventare già umano:

venerdì 18 febbraio 2011

Personaggio e ricerca

Credo che sia essenziale cercare in un personaggio qualcosa di oscuro, che non possa sempre spiegarsi del tutto o dimostrarsi, almeno non sempre. Un territorio umano a volte anche poco umano di ricerca nel corso della sua costruzione e non un'illustrazione di una creatura già del tutto finita e troppo organizzata. Tenerlo sospeso alla possibilità di una sua sparizione o di un suo gesto inatteso, che sorprenda chi lo scrive ancora prima di chi dovrà scoprirlo leggendolo. Non credo alle sorprese artificiali, ma solo a quelle riflesse per l'atto naturale di un colpo secco o di un gesto medianico subito e sofferto in  prima persona nella fase creativa, come una disgrazia o uno spavento mortale.
Se il personaggio di una mia storia non mi condiziona e non mi tormenti o non mi spaventi a morte o mi diverta da matti durante il giorno, non credo possa mai risultare credibile e vibrante, doloroso, astuto o radioso che sia, durante la notte.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il passo

Penso che qualsiasi passo abbia una sua funzione in tutto l'insieme.
Sarà forse per questo che cerco di controllare al meglio e all'ossessione le cose che scrivo e che vivo scrivendole, ma rileggendole in un'ottica sempre più ampia, e mai relegata alla loro funzione isolata. 
Durante una fase creativa, non cerco mai di compitare o eseguire ordini ingurgitati da altri. Ma cerco solo di abbassare le difese, e rilasciare le fasi del mio personale assorbimento,  rielaborandolo nel migliore dei modi, quanto più originale e fedele ai miei profondi e a volte ignari moventi. 
Bisogna stare molto attenti che tutto sia perfetto ma assolutamente inserito e innescato in una linea di rischio e di continua sfida, con il proprio linguaggio, le proprie esperienze, la propria sensibilità.
Tutto quello che non mi è stato mai detto né consigliato da nessuno, ma che ho incontrato e ho rubato, da molto altro, senza volerlo. E che ho creduto opportuno perseguire, anche nel buio pesto.

martedì 15 febbraio 2011

Se io scrivo: "La casa brucia".

Se io scrivo: "La casa brucia", non avrò mai alcun tipo di problema, con nessun tipo di persona e di giudizio. Metterò d'accordo tutti, di tutte le classi, di tutti i gusti, di tutte le età. "Ecco, tu sì che sei un vero scrittore purosangue. Uno scrittore preciso, chiaro, semplice, immediato. Chiunque capirà da questa scatola perfetta quello che accade. Non sarai frainteso. Bravo davvero!".
Lo stesso se io scrivo: "La casa brucia nel fuoco". Ancora un esempio di chiarezza e di comunicativa. Due volte bravo, allora. "Hai detto l'essenziale, quello che serve senza allungare il brodo ma nemmeno eliminando la fiamma dell'origine. Prendete esempio, voialtri, lì dietro e state ben attenti, senza distrarvi!".
Ma le cose cambiano e diventano molto diverse, se io scrivo: "La casa brucia del tuo fuoco". Adesso molti cominciano a ravvedersi, a guardarmi in cagnesco. Forse si erano sbagliati. Adesso sì che sorgono i problemi. Non metterò d'accordo proprio più nessuno, nessuno riuscirà più a seguirmi. Chiunque rimarrà fuori dalla scatola imperfetta e scaduta dove dico quello che accade. Sarò assolutamente frainteso. "Il fuoco non è  di nessuno. Il fuoco non è mio, non è tuo non è suo. Il fuoco è solo del fuoco. Che cosa vuoi dire, allora?". Fermandosi a quello che ho scritto e senza più andare avanti, o proseguendo con l'idea fissa che il fuoco non sia di nessuno e che quindi qualsiasi cosa che scriverò sarà un'assurdità preconfezionata per dare scandalo e disturbare.
Lo stesso, o forse peggio, se io scrivo: "La casa brucia del tuo vuoto". Adesso cominceranno le prediche. Le prediche sul lettore che va accudito e mai sfidato, sul fatto che è tutto troppo esagerato, convulso e confuso. "Quando mai un vuoto ha bruciato mai qualcosa? Nemmeno un foglio di quaderno elementare! Un vuoto è solo un vuoto. Come potrà bruciare una casa qualcosa che non c'è, e che non riesce nemmeno a intaccare lo spigolo di un quaderno elementare? Lei è allontanato dalla comunità degli eletti, signore. Fin quando non metterà in ordine le sue idee sul vuoto e sul fuoco non dovrà più scrivere una sola dannata riga! È uno scrittore vuoto e quindi senza fiamma, ecco che cos'è. Che scrive sciocchezze perché è a riserva di buone idee. Si allontani, per favore. Potrebbe confonderci".
Ecco come credo che funzionano le cose, in diversi casi.
Eppure, la cosa più divertente, e che molte di queste persone mi hanno convinto ancora di più che nella mia scrittura, il vuoto sia molto più infiammato delle fiamme. Se qualcuno riuscisse a convincermi che le case bruciano solo di incendi pieni e non di possibili altri vuoti, e che i lettori siano davvero così stupidi, credo che mi dedicherei a tutt'altro. Semmai diventerei un ottimo pompiere.
p.s.
Parlando da lettore, ho sempre amato i libri degli scrittori che mi hanno accudito della loro sfida, e non cullato del loro accudimento.

lunedì 14 febbraio 2011

Estratto da monologo inedito e non ancora incluso

Soltanto dopo tempo avrei scoperto che mi stavi accogliendo in una casa in fiamme. Tu eri sull'uscio, come in una foto d'epoca. Il braccio obliquo sulla fronte per cercare di vedermi, con l'altro braccio mi facevi segno. Mi stavi gridando che era pronto a tavola. Il fumo nella bocca non mi faceva parlare, guardare e camminare oltre.

domenica 13 febbraio 2011

Kindle



sabato 12 febbraio 2011

L'orlo dell'abisso e i luoghi di riparo

Scrivendo sull'orlo dell'abisso, cercando di provare a tastare un linguaggio intimo e nuovo, vi si dirà che non si comunica. Che è tutto eccessivo, troppo moderno o peggio con troppo simbolismo, artifici inutili e poca sostanza. Troppo di  postmoderno, d' imagismo e di neoimpressionismo.
Scrivendo in modo ostentatamente più semplice e forse più comunicativo le stesse cose, vi si dirà che tutto è molto riduttivo, già detto e già scritto, a volte banale e per niente moderno e con poco simbolismo. Troppo poco o nulla di  postmoderno, d' imagismo e di neoimpressionismo.
A questo punto, tra ciascuno dei due estremi, sono fermamente convinto che lo stesso lettore che ha evidenziato i limiti del primo, evidenzierà gli stessi possibili limiti del secondo caso. Soprattutto quando non avrà nessun interesse fisico e diretto alla sorte e all'evoluzione di quello scritto, e a tutto quello che riguarda quel testo al di là della sua forma e del suo gusto, o del suo impeccabile o peccabile giudizio. Quando il testo non l'ha sporcato a dovere è facile limitarsi a misurarlo senza avvertire altro se non i suoi spigoli, i suoi vertici, le sue distanze o dissonanze e linee d'ombra.
Credo invece che una modifica o anche mille o duemila modifiche sostanziali a un testo, in ciascuno dei suoi possibili estremi, anche se non sentite direttamente dall'autore, vadano fatte e preseguite, e con grande umiltà, solo quando dall'altra parte si è impregnati e parte attiva del processo di gestazione e revisione, e non quando si rimane fuori e indifferenti a quello che avviene oltre i propri parametri. Ciascuna differenza di visione diventa ricchezza quando è parte di una sensazione piena e coinvolta, anche e soprattutto nel dissenso, e non di un pensiero asettico e precostituito verso un certo linguaggio.

Sento pensare (Scrittura e delitti)

Sento pensare nell'aria di certi saccenti ambienti, che alla base della comunicazione vi sia l'equilibrio stilistico e la nozione.

Bene, e poi?

Alla base dell'equilibrio stilistico, c'è il talento.

Allora?

Alla base del talento c'è l'intuizione.

Forse...

Alla base dell'intuizione c'è la formazione culturale sensoriale.

Mai sentita.

Alla base di ogni formazione c'è l'informazione.

Poi?

Alla base di un'informazione c'è l'istinto poetico alla ricezione.

Avanti:

Alla base dell'istinto poetico alla ricezione c'è lo studio analitico del movente.

Quindi?

Alla base dell'istinto all'analisi del movente, vi è un' imprescindibile componente nozionistica e scolastica di perfetta postura del testo, attraverso la quale si raggiungerà la comunicazione. E non faccia quell'espressione, che è tutto provato.

Non faccio nessuna espressione. Mi chiedo soltanto dove siano le prove.

E dov'è la vittima, mi scusi?

venerdì 11 febbraio 2011

Il fratello maggiore

Venerdì 11 febbraio. Anniversario di morte di mio padre, Michelangelo Salerno, poeta e critico letterario.
Lo ricordo con una sua poesia, che scava nell'intimità dei nostri lontani antenati e del nostro comune passato, contravvenendo forse al suo stile, ma con l'arbitrio tollerabile di un piccolo e rinnovabile atto di amore.
La poesia è tratta dalla raccolta Gabbia di ansie. Edizioni Forum/ Quinta Generazione 1977 Forlì. Collana di poesia diretta da Giampaolo Piccari

Il fratello maggiore

Gli anni di scuola sono segnati
dal volto pallido del fratello maggiore
la divisa del collegio i bottoni dorati
i corti stivaletti le lunghe camerate.
Dietro la porta in fondo
perennemente in agguato
un fantasma con ali ed artigli
antico signore del castello
adunco testardo restio a lasciarsi sfrattare.
E questo fratello maggiore
nonostante l'estrema debolezza
che dall'ombelico gli saliva
al pomo d'Adamo
era comunque segno di coraggio
mano stretta nel buio
e per certe note femminee
degli occhi del profilo
figura materna.

Il pallore segno premonitore
di morte prematura?
Il fratello maggiore morì ragazzo
la spina dorsale spezzata
per una caduta
si consumò di piaghe nel letto
su alla villa.

La sera della sua morte
le stelle brillavano alte.
Nella campagna
le ombre il silenzio.

Michelangelo Salerno


giovedì 10 febbraio 2011

Una lettera di Keats a Fanny Brawne (Dalla sublime solitudine)

Mio diletto amore,
non dovete stare al freddo così a lungo  - dubito che quella finestra fosse aperta. Il vostro biglietto mi ha mezzo guarito.  Quando avrò bisogno di altre arance ve lo dirò- queste sono arrivate proprio opportune. Mi astengo dal cibo, e così mi sento piuttosto debole- per il resto sto benissimo. Vi prego, non fermatevi a lungo di sopra- mi fate stare in pena- venite ogni poco e rimanete mezzo minuto. Ricordatemi a vostra Madre.


Sempre il vostro affezionato J. Keats [ Wentworth Place, marzo 1820?]

mercoledì 9 febbraio 2011

Ommwriter


Ommwriter from herraizsoto&co on Vimeo.

martedì 8 febbraio 2011

Sirio in ristampa anastatica (1979)


Incantevole edizione del 1979 della bellissima raccolta Sirio di Attilio Bertolucci, a cinquant'anni dalle prime duecento copie della prima, datata 1929. L'editore è Alessandro Minardi, -all'epoca sconosciuto quanto il poeta-, che stamperà le duecento copie della raccolta nell'Officina Grafica Fresching di Parma e vendendole al prezzo di otto lire ciascuna.
Ho trovato il testo a Milano, da un privato. La raccolta non è facile da reperire. Insieme a "Sirio" e in occasione della ristampa anastatica del 1979 fu preparato un breve compendio di Paolo Lagazzi, dal titolo La tavolozza e la pazienza (per una ristampa anastatica di Sirio) La Pilotta- Parma, in cui Lagazzi  approfondisce diverse trame dello stile e dei tratti tipici della ricerca del primo Bertolucci. 



lunedì 7 febbraio 2011

Il Gruppo di Lettura Forum libri discute e premia un romanzo di Marías

Consiglio di leggere o di stampare questo interessante thread di Forum Libri. Si tratta di una condivisione di commenti durante la lettura di uno stesso libro.

domenica 6 febbraio 2011

Post scriptum

Vorrei precisare, riguardo allo strano post dell'altro ieri, che io sono convinto dell'importanza della revisione; che per ogni nuovo scritto su cui lavoro, tendo a dedicare sempre più tempo alle fasi oscure della revisione. Credo che la revisione di un testo sia un passaggio fondamentale e anche molto divertente, soprattutto quando ci si massacra. Il punto è che- anche per i fautori più accaniti dello scrivere inteso come riscrivere- ci debba essere qualche piccolo o grande disastro naturale su cui impostare il lavoro, qualcosa di naturalmente sporco da pulire e non soltanto un piccolo alone di fiato lasciato per errore sul vetro di una finestra. Non credo in una partenza troppo composta e incravattata, con la redine ancora ben tesa e le stringhe delle scarpe ben allacciate. Sono per il culto della superficie, solo quando celi e riveli un magma più complesso e sotteso che ti confonde e dal quale cercare di liberarsi. È solo da questa ricerca che comincia il senso della mia scrittura. È per questo che non riesco a comprendere tante parole che si dicono, tanti piccoli trattati che si impongono, non li capisco, sono lontanissimi dalla mia vita e dalla  mia scrittura. Sarà forse un  mio limite, ma nella mia vita non ho mai dispensato verità, ma ho cercato di inciampare dentro qualcosa e di venirne fuori con un sistema personale di risalita. Sull'orlo non si nuota. È quello che penso. Esistono dei compromessi, anche in questo campo. Non è possibile rimanere sempre in piedi accanto a una lavagna, e guardare le parole degli altri con lo sguardo sprezzante e la bocca storta. È una cosa che non ho mai fatto, nonostante sia nato e vissuto in un ambiente intriso di letteratura.
Il compito di uno scrittore è quello di far ritrovare un bicchiere sporco su di un tavolo, una luce e un odore di casa a  persone diverse, che hanno bicchieri, tavoli, luci e odori diversi di case sia nel naso che nel cuore, ma che riescono a identificarsi misteriosamente in quelli dello scrittore, come se fossero i propri, anche da diversi. E per questo obiettivo non esistono ancora regole e informazioni troppo chiare, per nostra fortuna! Ma c'è ancora dell'altro...

venerdì 4 febbraio 2011

Scrittura di scuola? (Il mio cattivo esempio)

Non credo che si possa mai dire troppo o in assoluto sull'idea di scuola. Parlo in senso lato, sulla possibilità di incalanare un proprio personale percorso dentro un luogo di affinamento, di confronto e di alto e medio perfezionamento. Se l'idea di scuola, in questo caso parlando di scrittura, comporta un affinarsi, non capisco cosa si possa trovare a priori di sbagliato o che non funzioni. Ben diversa è invece quella che io definisco la scrittura di scuola, o meglio per la scuola. Quel tipo di approccio che mozzerebbe il novantasei per cento delle parole di questo primo paragrafo, in nome di una certa visione di purezza scolastica linguistica e formale, a cui dovrebbe soccombere e soggiacere tutto il resto, che senza un certo telaio non esiste. Così come non esisto io, se non ho quel tipo di dinamica. Non esisto davvero, le parole non si possono leggere, perché non ci sono, sono bianche sul bianco. Quello che mi preoccupa è che scrivere per la scuola, ossia esprimersi per dimostrare di aver imparato le regole, di aver assimilato i procedimenti per l'impianto di una struttura solida, consapevoli dei rischi e delle note sporche da evitare, sia un atteggiamento  molto diffuso tra scrittori molto giovani, agguerriti e credo anche molto talentuosi, ma fanatici di editing, di perfezionismi e revisioni, di grandi esplorazioni sul fraseggio, sul respiro, quando credo che dovrebbero invece spaccare prima le pagine a morsi come legna, e scrivere con un coltello tra i denti un occhio bendato e un pappagallo sulla spalla, e che quando qualcosa non torna dovrebbero ingoiare il foglio o dargli fuoco, o scrivere a tavola, al cesso, a colazione, in metro, sulla schiena di un passeggero che ti è seduto accanto, e solo dopo qualche anno pensare ad aggiustare i danni o a chiedere l'assicurazione. Quello che non vedo più è il fuoco, il buon fuoco. Grandi slanci di informazioni utilissime, e sopratutto decaloghi, la macchina del testo: controllo dell'olio, dei filtri e dei freni, della frizione e della cinghia, quando il mio intento è sempre stato quello di fondere il motore per baciare in piena notte la mia compagna di viaggio. 
Quei meccanismi invece sono fondamentali. Ciascuno ha il suo decalogo e ciascuno si consacrerà a rispettarlo e a far sì che qualsiasi scrittore si uniformerà alla loro idea di perfezione o di perfettibile, contro qualsiasi possibilità di anti-stile o di qualsiasi altro anti, e di eventuale rinnovamento o sterzata a quella linea fondamentale di condotta, di contrappunto delle parole in una grande scolastica fuga a una sola voce.
Avverto, in alcuni casi naturalmente, la sensazione di una grande attenzione al fattore giustezza, che divide dal primo attacco di un testo, quello che è capace dall'altro che non lo è. Il giusto dall'ingiusto, lo  scrittore sceriffo dallo scrittore fuorilegge, la stella sulla camicia dall'occhio bendato del pirata dei mari. Non riuscirei a buttare nemmeno due righe se dovessi farlo per una questione di purezza formale di scuola, di ricerca del giusto tempo contro le immense possibilità di una strada buia e sospesa, che è quella che vorrei perseguire. Vorrei  che si includesse nella tendenza scientifica e matematica nell'approcciare un testo, anche dell'altro, anche qualcos' altro che non lo tratti come una macchina ma come un fiume vivo di trote. Sarebbe interessante che si cercasse qualcosa dove perdersi e non dove ritrovarsi. Non trovo altro senso nel mio fare che quello di perdermi. Non so quante altre volte lo avrò scritto, ma tutte le volte che lo dico, lo scrivo e quindi lo sento- una cosa sentita non sarà mai una cosa ripetuta- ho la sensazione che la mia unica scuola sia quella del perdermi. Scrittura del perdersi o scuola del perdermi. Un cattivo esempio.
È tutto.

giovedì 3 febbraio 2011

Diritti d'autori creativi



Questo filmato è disponibile grazie a una collaborazione con Arcoiris Tv.

mercoledì 2 febbraio 2011

Questione caratteriale

Non so da  cosa dipende, forse da una questione caratteriale, ma comunque misteriosa. Una questione può rimanere misteriosa anche quando riguarda un carattere. Un carattere, anche il proprio, rimarrà sempre alquanto misterioso, almeno per me e non soltanto per gli altri. Insomma, non so davvero se sia una questione caratteriale, credo di sì o forse ci sarà ancora dell'altro, ma tutte le volte che devo proporre a qualcuno un mio scritto, parlo ad amici o a persone di famiglia, o anche a persone più inserite in certe dinamiche letterarie o pseudoletterarie, ho sempre la stessa identica sensazione. Quella di aver appena varcato il salone di un palazzo ducale, ricco di persone in frac e di donne elegantissime, immerse in un sontuoso ricevimento o festa da ballo, ed essermi appena accorto di aver preso una merda in pieno con una scarpa.

martedì 1 febbraio 2011

La notte. Poesia è rivoluzione

La raccolta a tema dove hanno accolto, tra gli altri, "Notturno", di Luigi Salerno.
In copertina, "Il cuore e l'anima della notte" di Carla Colombo.

Nel cuore della notte...


...le parole lette hanno sempre un suono diverso. Stavo leggendo le ultime pagine del libro "Antichi maestri" di Thomas Bernhard, proprio nel cuore della notte, e questo passaggio mi è rimasto scolpito, come qualcosa di antico e di nuovo, che forse sapevo ma che non sapevo di conoscere, o che sapevo ma che non sentivo abbastanza dentro da crederlo troppo vivo. Come invece è ritornato:

"Ho sempre creduto che fosse la musica a significare tutto per me, a volte anche la filosofia e il prodotto letterario di alto, altissimo, di supremo livello, così come ho creduto che fosse semplicemente l'arte in generale, ma tutto questo, tutta l'arte, quale che sia, non è niente se paragonata al solo e unico essere umano che abbiamo amato".
Thomas Bernhard