domenica 31 gennaio 2010

Intervista allo scrittore Fabio Lubrano

Stasera ho visto quest'intervista, prelevata dal blog dello scrittore Fabio Lubrano, autore del romanzo "Malinverno" Zandegù editore.
Mi è piaciuta e così ve la propongo: Intervista a Fabio Lubrano
l.s.

Feuille d'album

"Viveva all'ultimo piano di un edificio alto e tetro che dava sul fiume. Uno di quegli edifici che sembrano tanto romantici nelle notti di pioggia e nelle notti di luna, quando le imposte sono chiuse, e anche il pesante portone, e il cartello con la scritta "affittasi piccolo appartamento libero subito" risplende di una desolazione indicibile. Uno di quegli edifici che per il resto dell'anno hanno un odore così poco romantico, dove la portinaia vive in un gabbiotto di vetro al pianterreno, stretta in uno scialle sudicio, a mescolare qualcosa in un tegame e scodellare all'infinito bocconcini prelibati al vecchio cane gonfio abbandonato su un cuscino di perline...".
Katherine Mansfield (1888-1923) dal racconto Feuille d'album

venerdì 29 gennaio 2010

Anna Frank. The Whole Story based on Melissa Müller's biography

...il treno, la sera

Vi sono alcuni attacchi, alcune modalità di certi scrittori, che a volte mi rimangono invischiati dentro più di altri. Come è accaduto con l'incipit di questo racconto di Peter Bichsel, dalla raccolta "Il lattaio". Non so nemmeno io il perché, ma quest'inizio così asciutto e scarno, trattiene dentro e nell'aria del narrato qualcosa di molto più grande: come un qualcosa di sospeso e di trasognato, ma costruito con elementi e parole così semplici, comuni:
"Lei sedeva là. Se le avessero chiesto da quando, avrebbe risposto: "Da sempre, io siedo sempre qui".
Aspettava, ora un'amica, una collega, il treno, la sera.".
Dal racconto "Gli uomini" di Peter Bichsel.

giovedì 28 gennaio 2010

L'osare e l'eccedere

L'osare e l'eccedere, in un percorso di scrittura e di ricerca - io le vedo come la stessa cosa: ricercare scrivendo e scrivendo dissotterro e quindi ricerco - possono essere indicatori di buona tenacia e coraggio, soltanto quando non siano gratuiti, quando non trapeli il compiacimento del misfatto letterario, il graffio rosso del ghigno, e quando poi vi si insinui, anche se silenzioso, in un certo contesto narrativo difficile e particolarmente tragico, quel solido e cristallino sentimento di pietà e compenetrazione. E tutto questo ha bisogno di grande cuore e di grande tecnica di regia verso l'uso dei propri strumenti linguistici e umani: entrambi dovrebbero essere adeguati e ben sviluppati, come le ali robuste e pulite della gazza che staccava dalla mia auto nella luce gelata di un asse viario, giovedì scorso, senza uno sputo di esitazione.
l.s.

Baricco: parole non dette

Alessandro Baricco - Parole non dette from urbanohumano on Vimeo.

mercoledì 27 gennaio 2010

Views of the Anne Frank chestnut tree

Della paura del buio

Della paura del buio mi incatenano e mi incantano il gioco sottile e l'astuzia volposa degli opposti:
quando il buio è davvero supremo, riflette la tenacia di una mancanza di aria, la forza di un effetto al delitto, reame claustrofobico non forzato e prodotto ma indotto. Quindi il buio come non luce. Sarà allora il desiderio della luce da combattere per eliminare la paura? Una paura di non luce, forse, potrebbe risuonare meglio. Il buio allora che cosa mai c'entrerebbe? E quale sarà il vero sfondo, o l'antidoto?
l.s.

martedì 26 gennaio 2010

Il "Grottesco" di Patrick McGrath


Ritorno, tra  i miei altri ritorni a testi più recenti o più lontani, alla segregazione fantastica e visionaria che mi ha regalato - e dove mi ha piacevolmente relegato - lo scrittore inglese Patrick McGrath, con il suo "Grottesco". È un libro da analizzare in un'angolazione diversa dalle altre strutture; in una prospettiva particolare per coglierne lo spirito nella sua evoluzione, molto nera e sinistra quanto fresca di dinamiche e situazioni, che pur nella loro raggelante lucidità, ne dilatano i confini verso altri territori, che prescindono dal solo sviluppo del suo pregiato e misterioso meccanismo dell' azione. È vero, riconosco  a pieno la sapiente ibridazione, ottimamente riuscita, tra i respiri serrati della black comedy e le spire minacciose del gotico. Bellissimi i tratti ambientali, così porporini o a volte fiochi, mai fiacchi o rallentati, ma distesi e raccolti nella claustrofobia della famiglia, dei riferimenti che si sfibrano e che si muovono insieme alle ossa dei suoi reperti, della maledizione della paralisi e dell'intruso Fledge. Lo stare di spalle a una parete, con la vita che gli si muove e gli spiffera a dispetto del suo sguardo, è un altro accento importante, sul quale l'autore batte ancora, dimostrando così quanto conti nel suo affresco l'analisi profonda di una condizione umana e quante diverse e parallele umanità si intreccino in contrappunto nel grottesco, fino all'eccesso del mostruoso.
Eleganza e padronanza stilistica. Il testo scivola nelle sue tenebre ma si riaccende. Anche il tipo di articolazione dell'impianto narrativo, si muove con strane sintonie temporali, come la falcata di un grande uccello che sceglie le sue zone di tempo e di atterraggio in base alla saggezza limpida e spietata di un istinto perfetto e infallibile: credo lo stesso di McGrath, nel diaspro sanguigno e originalissimo di questa sua grande prova.
l.s.

lunedì 25 gennaio 2010

Ancora una penombra

Ancora una penombra di caffè.  Trasportato nella stanza, in una tazza semivuota: per aiutare la molestia dello scrivere, verso sera.
l.s.

La luce di Gatto e i miei ritorni

Il ritorno alla poesia di Gatto, anche solo per assaporarne un solo verso, una piccola sequenza, semmai ripresa dallo stesso punto lasciato a distanza di un certo tempo, più che una piccola abitudine, la avverto adesso quasi come un'urgenza del suo particolare e singolare linguaggio, incapsulato in vere e proprie isole di luce, che spaziano, confondono di quella nettezza e nitore così precisi e incolmabili a ogni rilettura, accompagnato sempre dalla trama di un mistero ermetico e in quella forma così lucida, che contribuisce, in diversi casi, a rafforzare il gioco cromatico del suo lungo e cauto (in)canto. Scorgendo a volte il pastello, delle sue case e delle sue sere, e sentirle vicinissime a quelle che forse avrò visto da qualche parte o forse appena sognato o disegnato, chissà quando. Poeta che non sazia ma sfama, delle sue ampie distese innamorate e luccicanti. Ancora.
Stamattina condivido uno dei ritorni a uno dei suoi testi, come una consacrazione di luce, ancora una volta sempre diversa e rinnovata nello sciogliersi. Dalla prima parte di "Pianura":
"Sera calma di lume
finita nel clamore
alto dei pagliai:
nel suo stupore
bianco d'aia
cavallo incantato
beve occhi e occhi nel fiume..."
Alfonso Gatto da Poesie 1929-1941

domenica 24 gennaio 2010

Vocabolari privati

Pochi testi mi hanno piacevolmente costretto a fare quello che adesso vi dirò. Mi era capitato forse soltanto un'altra volta, con il densissimo e articolato "Paradiso" di Lima. Insomma si tratta di analizzare l'osticità di alcuni vocaboli, non proprio alcuni, e inserirla in un elenco privato e molto ben ordinato, dove, con il tempo, prendermi la briga di sviscerarli e liberarli in qualche modo dalla loro attuale oscurità, e quindi  approfondirne con calma sonorità e contesto di utilizzo, regole di suono e relativa bellezza.
Bene, giusto ieri ho finalmente acquistato "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" di Gadda, al quale ho appena dedicato un file apposito di meraviglioso e sconfinato approfondimento lessicale. Una sorta di piccolo vocabolario privato.
l.s.

Troverei giusto.

Troverei giusto che qualsiasi scrittore al mondo confrontasse, prima dell'invio di un suo testo inedito a una qualsiasi casa editrice, l' impostazione e il genere delle sue collane e ne acquistasse anche qualche titolo, per rendersi conto del tipo di scrittura, del livello, dei parametri che il progetto editoriale utilizza, quelli che ciascun editore di talento, anche se piccolo, dovrebbe assemblare armonicamente nell'impianto di un'unica storia ideale narrata, insomma - o almeno, penso che così dovrebbe essere.
Troverei anche giusto, però, che qualsiasi editore, grande o piccolo che sia, prima dell'invio di un rifiuto a un qualsiasi scrittore -o presunto - confrontasse almeno il primo titolo, in ordine di forza e di qualità letteraria (e non solo di mercato), di quelli pubblicati in una delle sue collane, per rendersi conto ancora meglio di tutti i parametri utlizzati del progetto e per evitare che un giorno, anche se lontano, qualcuno o anche egli stesso, potesse accorgersi che questo libro non sia minimamente paragonabile, per quanto inferiore e  povero, a quello definito "l'ultimo" tra i manoscritti rifiutati.
A volte basta davvero così poco...
l.s.

Verso notte

Verso notte, storna la macina dei pensieri, o quasi un prisma, un ricordo, che fuma in azzurro o forse in blu.
Che non sarà già più ?
l.s.

sabato 23 gennaio 2010

Che un qualsiasi secondo di vita


...accorgermi, pensando nel cuore più calmo della notte, della perfezione di qualsiasi istante più puro di dedizione incondizionata a qualcuno e a volte anche a qualcosa, contro l'ozio sbilenco delle attese più viziate e impazienti.
Che un qualsiasi secondo di vita verso un altro, è perfetto.
l.s.

venerdì 22 gennaio 2010

Leggendo e segnando McGrath

A volte mi piace immaginare alcuni post di questo blog, come segni di matita sulle pagine che mi hanno maggiormente toccato o rapito, durante il mio percorso di lettura, e anche, quindi, come il metodo migliore per rispettare l'ossessionante nitore delle pagine che da sempre mi condiziona.
Durante il denso siero gotico di Grottesco, di uno splendido Patrick McGrath in grandissima forma visionaria, ecco un appunto che sento particolarmente prezioso, almeno per me, anche se forse potrebbe non esserlo per gli altri:
"La solitudine è cosa terribile, perché lascia che l'immaginazione dipinga fin nei particolari quel che forse non andrebbe espresso mai".
Patrick McGrath.

giovedì 21 gennaio 2010

Solo per qualche istante

"La gioia nell'esistenza ci affascina per qualche istante,
balenano (e quasi non li scorgi) i giorni della felicità;
sfolgorano appena - e già si celano.
Per qualche istante ho conosciuto quanto sia dolce
            [l'amore:
ma ora, mia cara amica, tu non sei più con me..."

mercoledì 20 gennaio 2010

Everyman


È scivolato in due giorni, quasi senza che me ne accorgessi. Un libro lucido e tremendo, che gira vorticosamente intorno alla condizione umana della solitudine, della finitudine, della perdita, del ricordo. Philip Roth racconta e seduce in nero, con una tessitura densa e lucida, calmo e composto nel suo addentrarsi e scolpire, come nel gelo di un corso d'acqua montano e solitario, lasciando intravedere ben distinti i sassi levigati, e soprattutto quelli più appuntiti, dei fondali universali dell'uomo. Di ciascun uomo.
l.s.

martedì 19 gennaio 2010

Writers Block by Jeffrei Brice

Writers Block from Jeffrey Brice on Vimeo.

lunedì 18 gennaio 2010

Manoscritti problematici e considerazioni

Questa sera, da mia sorella, ho scovato un mio vecchio manoscritto, che le avevo lasciato prima  di Natale per farglielo leggere - ma non ha ancora trovato il tempo di farlo - e allora ho preso a sfogliarlo e a lanciare un occhio ai punti cruciali, giusto per vedere l'effetto. Insomma, ho scovato diversi problemucci, che forse avevo anche notato in precedenza, ma che per averglielo già dato in lettura, come un lavorino da potersi gustare negli spacchi dopo il pranzo o quando i suoi bambini dormivano, dovevano pesare in modo alquanto diverso. Tornando a casa, pensavo: ma quanto si cambia, a distanza di pochi mesi le cose diventano più grosse o più sottili, gli errori diventano lampanti, o forse è la nostra attenzione, o era solo quel momento, quello di stasera, che forse qualsiasi cosa avrei preso in mano mi avrebbe trasmesso quello stesso sapore di precarietà; ma in fondo non si è mai uguali davanti a un lavoro, a una qualsiasi opera, che sia la propria o quella di un altro scrittore. Pare che le cose si muovano con noi, o che siamo noi a diventare più difficili, o più sensibili, o più profondi, o più pessimisti, o più idioti o più geniali o più incapaci, insomma, in qualunque caso le sonorità non sono più le stesse, e allora questo mi faceva riflettere su quanto sia ancora diverso l'editor di turno, il portiere di notte che ti leggerà in un albergo, per combattere il sonno, o la cassiera di un bar del centro. Insomma esistono più verità, almeno nella prima apparenza, più variazioni, per cui un lavoro letterario che si rispetti, dovrebbe mantenere la sua durata nella tensione prima di tutto per le distanze di tempo. Almeno su quelle ci sarebbe ancora qualcosa da fare. Non si possono cambiare gli altri, ma si può cambiare il sistema per far sì che una propria idea di scrittura e di stile abbracci persone diverse.
La medicina è ancora una volta il confronto attraverso un sostanziale stacco di tempo, e una maledetta dose di talento nel sensibilizzarsi alle variazioni negative di percezione, quelle più sostanziali.
Che brutto affare, signori miei...
l.s.

La colomba pugnalata


L'anestesia e il relativo rapimento di alcune grandi pagine, da tutto quello che possa rappresentare qualsiasi altra cosa al di fuori del loro contenuto in quel preciso momento, può ritornare e svelarsi a distanza, come l'ago di una bussola che ti conduce a quel passaggio preciso, a quell'informazione che ne svela e ne rivela altre, a volte non considerate subito, e  risvegliando di colpo l'interesse per il momento e per tutto quell'altro, che in quella fase di lettura sembrava escluso e annebbiato.
Mi è accaduto con questo meraviglioso saggio di Pietro Citati su Proust e la Recherce, dal titolo "La colomba pugnalata", acquistato quest'estate in piena condensazione della lunga opera, terminata diversi mesi prima. Da quel passaggio della prima pagina, ritornano di colpo tutti gli elementi del luogo dove avevo aperto il libro, la vista profonda sul mare, i gabbiani del pomeriggio, l'angolo ancora ombrato della darsena, la direzione del vento, come se fossero tutti l'esatta continuazione di quell'interessante rivelazione: " le cose sono così belle nell'essere quello che sono e l'esistenza è una bellezza così calma diffusa intorno a loro".

domenica 17 gennaio 2010

Dalla finestra

Dalla finestra si oscurano gli alberi. Si accende la villa delle suore.
l.s.

Piccolo laboratorio di revisione

L'idea di riprendere i vecchi appunti "i soffi nel vetro", e lavorarci sopra, per rimetterli a posto o cassarli definitivamente. È tutto qui .
l.s.

sabato 16 gennaio 2010

Ancora troppi uomini



Ancora troppi uomini sono molto attenti a una donna, solo quando questa è sul punto di spogliarsi o di morire.
l.s.

I Buddenbrooks


Buddenbrooks - Trailer - Kinostart 25.12.2008 from heidi23 on Vimeo.

venerdì 15 gennaio 2010

Né passato né futuro

Alcune verità Miller le usa a bruciapelo, come se venissero fuori dalla canna fumante di una pistola. È il suo metodo sorpendente di ungerti e spiazzarti delle sue spianate feconde di grandi vortici pensanti, in un modo così pregnante e originale da far sì che il lettore più attento ricordi in seguito il punto esatto della pagina e anche la zona del libro dove la piccola esplosione ha avuto atto.
Ecco un esempio. L'ho preso al volo qualche minuto fa, prima di scriverlo:
"Io sono sano. Inguaribilmente sano. Niente dolori, né rimpianti. Né passato, né futuro. Il presente mi basta. Alla giornata. Oggi! Le bel aujourd'hui!".
H. Miller, Tropic of cancer (1934)

giovedì 14 gennaio 2010

Una strana scuola

Tutto quel poco che ho appreso e ho capito delle cose di cui mi occupo, è stato il frutto piuttosto maturo di una profonda ossessione. Non trovo altre possibilità per impadronirsi e sensibilizzarsi a qualcosa senza una tendenza invasiva a scarnificarla con la propria fame. Tutto il resto è scivolato, non l'ho sentito e non mi ha sentito. Nessuna scuola può insegnarti questa malattia, e nemmeno puoi imparare ad ammalartene. Bisogna farla già da avvelenato e avvelenarvisi ancora nel proprio farla.
E solo allora puoi perderti...
l.s.

Ore 7.28

A quest'ora si avverte ancora quella solennità misteriosa che interessa il nostro tempo di vita. Dura molto poco, putroppo.

mercoledì 13 gennaio 2010

Notte o quasi notte

È interessante scrutare le intercapedini tra le fasi del giorno, anche quelle meno evidenti e tangibili. Penso che cali la sera anche durante il giorno, potrebbero sussistere delle piccole fasi interne di declini o, al contrario, di aurore notturne. La scansione più o meno regolare delle consegne tra le fasi del giorno e della notte, disegna  alcuni spazi precisi di vuoto o di anticamera, attraverso cui si ammortizzano meglio gli scatti tra una dimensione e l'altra. La notte ha quel piccolo imbuto, che non è più serale ma non è nemmeno già notturno, dove non solo le luci esterne, ma anche le abitudini interne dell'uomo si riposano o trattengono il respiro. Qualsiasi scansione temporale a volte pare farci il verso, favorirci, ristorarci, spaventarci o rassenerarci, in base alla nostra prospettiva sensibile di ascolto e di osservazione. Forse siamo il riflesso di un cambiamento costante e uno specchio di quello che avviene o che forse non avviene e non avverrà mai, ma che ci riguarda comunque. Potrebbe essere tutta un'orchestrazione precisa e mirata per favorirci, o per immalinconirci, inasprirci, intrattenerci o deluderci, la cosmologia in un grande anfiteatro cavo, dalle maschere dalle grandi bocche, o addirittura il contrario, una nostra recita senza copione e con uno straordinario e sconosciuto direttore delle luci.
Come di notte, o quasi..., è solo in queste strane fasi che si trova il coraggio di scrivere o di pensare certe cose; sarà così.
l.s.

Case e scrittura

A volte immagino e non so da dove diavolo saltino fuori certe situazioni, e allora tento di interpretarmele o di velarle e tradirle alla radice guasta del loro paradosso: a proposito di scrittura e di lettori, che sono il bersaglio o l'origine di un impulso, di un istinto di scrittura - o forse sarebbe meglio dire potrebbero esserlo, e anche riguardo alla direzione di un'origine o al bersaglio dipende molto dai punti di vista - immagino che chiunque scriva abbia il maledetto compito, per incontrare un lettore, di portarselo nella sua casa, o in un qualsiasi ambiente chiuso che in qualche modo lo rappresenti, che  abbia quell'inclinazione, quella disposizione interna degli oggetti, quei particolari giochi di luci e riflessi, quelli che in altri luoghi con quelle caratteristiche precise non esistono e a cui dare quella certa inclinazione di sguardo e di ascolto.
Fin qui potrebbe anche andare; l'unico piccolo problema è che lo scrittore dovrebbe riuscire a farlo entrare dentro senza le chiavi...
Che non ha.
l.s.

Un soffio di vetro

Soltanto quando il bacio 
sulla nuca del topo sarà vicino,
svelandosi forse,
al viso e all'inviso dell'uomo,
soltanto allora,
nastri di argento e cristalli
allattando le costellazioni.

l.s.

martedì 12 gennaio 2010

Sarebbe bello...

Sarebbe bello fidarsi sempre un po' di più di chi si è perduto...
l.s.

Blaise Cendrars dall'occhio perfetto di Miller


Ho avuto il privilegio di scoprire dell'esistenza dell'uomo Blaise Cendrars, attraverso la prospettiva lucida e pregnante di Henry MIller, una prospettiva che ritengo perfetta. Miller ha delle idee ben precise su Cendrars, sia come uomo che come scrittore, ma sarebbe meglio includere il tutto nella parola "uomo", le separazioni in molti casi non hanno molto senso, in questo caso in particolare. Dalle parole di Miller, si evince una personalità molto complessa, eclettica, come in questo bel passagggio che segue, riferito alla sua opera "L'homme foudroyé": "...Qui egli è l'uomo terreno nel suo pieno sviluppo, composto di molti ricchi strati - mozzo, vagabondo, perdigiorno, accattone, barista, pugilatore, avventuriero, marinaio, soldato, duro, l'uomo dalle mille e una esperienze dure e amare che non andrà mai a fondo, ma non farà che maturare, maturare, maturare. Un homme, quoi!".
E ancora: "La sua è una di quelle facce che non si possono dimenticare. È umana, ecco cos'è. Umana come le facce cinesi, come quelle egizie, cretesi, etrusche".
Allora non resta che ringraziarti, Miller!
l.s.

lunedì 11 gennaio 2010

Un altro contributo dal Liceo Braucci

Vivere, e pensare che domani sarà sempre meglio  di Lamia 94
Prashant era un “ragazzino modello”. Difficile credere che non lo fosse: nessun problema di studio, nessuna mancanza di affetto, né in famiglia, né con gli amici. Altrettanto difficile, però, è credere che fosse un “ragazzino” felice. Prashant si è tolto la vita, dopo aver capito che “così non ce la faceva più”, ha spedito qualche sms alla sorella e agli amici e si è dato fuoco, gettandosi poi dal ballatoio di una scalinata. Il dramma si è consumato a Potenza, un po’ dopo le otto di una mattinata come tante. La motivazione per tale orrore: la fidanzata lo aveva lasciato. Chi, in tutta la sua vita, potrebbe dire onestamente di non aver mai sofferto per amore? Non importa se amore poi non era. Non importa se si è andati avanti. Abbiamo sofferto, un po’ tutti, un po’ a tutte le età. Abbiamo creduto di non farcela, ci siamo sentiti il fiato mancare e le gambe cedere, ma poi ci siamo resi conto che bastava stringere i denti e ricominciare. Ricominciare a vivere, ricominciare a sperare. Questo è il percorso, più o meno analogo, che compie ogni adolescente alle prese con le prime cotte. Ogni regola, però, ha le sue dovute eccezioni. Prashant, e mille altri come lui, erano una di quelle. Uno di quelli che ci ha provato, ma poi non ce l’ha fatta. Forse, per far sì che vedesse l’alba di un giorno nuovo, sarebbe bastata qualche frase, qualche parola, un po’ di considerazione in più. Forse sarebbe bastato qualcuno che gli dicesse che “Il Sole esiste per tutti”, non importa se ti sembra di non vederlo. Magari sarebbe bastata una di quelle "frasi fatte", una di quelle che, quando stai male, proprio non vuoi sentire. O forse Prashant, in fin dei conti, avrebbe fatto comunque come credeva. Perché a quindici anni, della vita, hai visto troppo poco e perché, probabilmente, te ne è stata mostrata la parte peggiore. Perché forse è solo con il tempo che si impara a rialzarsi subito quando si cade. Forse, a lui, sarebbe stata d’aiuto persino la frase di una canzone: “Vivere, è come un comandamento.. Vivere, senza perdersi d’animo mai.. e combattere e lottare contro tutto contro!” (Vasco Rossi)
Lamia 94

domenica 10 gennaio 2010

Il posto di Ermanno Olmi

Un'altra storia


Penso che in ogni libro, in ogni buon libro, forse, esista una storia oscura e parallela, a volte molto diversa o molto lontana da quella narrata, ed è proprio quella prima, che non si vede, a legare per sempre un lettore a quel preciso scrittore.
l.s.

sabato 9 gennaio 2010

L'amore per i libri

Credo che l'amore per i libri, o per la letteratura o per qualsiasi cosa abbia a che fare con queste strane e fantastiche maledizioni, compresi gli affari di scrittura o gli accanimenti dei lettori più forti e più agguerriti, racchiuda un po' gli stessi insondabili tipi di problematiche affettive che si possono incrociare verso tutti gli altri tipi di amore- o saranno forse gli stessi, con oggetti diversi- e con i loro tempi, le loro stenosi, le loro vampate o contraddizioni, a volte pare così vicino all'amore disperato per i cani, per tutti quelli che un uomo possa incontrare e fissare nello sguardo, lungo uno sterrato di grandi solitudini o di eterna infanzia.
l.s.

venerdì 8 gennaio 2010

Küng: Dio esiste?

Un testo che mi ha spiato e scrutato, da quando ero piccolissimo, per ogni mio ignaro e frettoloso passaggio di fronte al suo dorso intatto e arancione, che ha occupato la mia vecchia casa per decenni, e che solo adesso attacco in modo deciso, forse perché ho trovato il coraggio e non più per la solita o frettolosa consultazione, ma per il desiderio di scavare in quella prospettiva austera di ricerca, che credo ancora così moderna, in un'ampia parabola dove snoda e snida pensieri lontani, ariosi o controversi, dalla filosofia più antica in un discorso ampio e organico che dalla teologia abbraccia la storia di un pensiero vorace e quel suo grande azzardo al gioco e al dolore di un mistero.
Vi è una zona iniziale del testo, dove Küng enumera i suoi propositi di sviluppo e tra questi, in una stoccata di grande e confortevole eleganza, scrive così:"Qualche tempo fa, alla domanda se credesse in Dio, un Premio Nobel inglese rispose: Of course not, I am a scientist! Questo libro è sostenuto dalla speranza che inizi una nuova era in cui la risposta sia invece: Of course, I am a scientist! Naturalmente, sono uno scienziato!".

giovedì 7 gennaio 2010

Aspetti della felicità in Tatarkiewicz

"La maggior parte della gente immagina che per essere felici si debba avere tutto quello che la vita può offrire, cosicché, viceversa, se ad una persona non manca niente sarà certamente felice. "Non mi mancava nulla, tranne la felicità", dice uno dei personaggi di un romanzo di Eliza Orzeskowa [...]
La felicità dipende da condizioni di vita favorevoli. Sono di quest'avviso le persone comuni. La filosofia, però, a partire da Socrate e dagli Stoici, ci ha insegnato che dipende solo da noi. Chamfort, nella sua famosa massima, ha apportato un emendamento sia al primo che al secondo concetto: "La felicità non è cosa facile: è difficile trovarla in noi e impossibile trovarla altrove".
Wlasyslaw Tatarkiewicz

mercoledì 6 gennaio 2010

Machado LXXII- Poesie

"Sulla pallida scena della sera,
la chiesa, con le sue affilate torri
e l'ampio campanile, nei cui vuoti
volteggian dolcemente le campane,
alta e scura, si staglia..."
A. Machado

L'occhiale di Machado nel fotogramma: "Ante el pálido lienzo de la tarde", bellissimo l'impasto e la trovata sonora dall'originale, e soprattutto quel "tarde" ,  così più estremo e oscuro e legnoso delle nostre antiche e dolci sere italiane, in contrasto con il pallore della sua prospettiva nell'attacco: "el pálido", ancora più morbido per la mancanza di una consonante rispetto al pallido italiano. Lo Spagnolo addolcisce, ancora, alcuni tratti, anche nella traduzione italiana di "staglia", riferita alla chiesa, l'originale ci riserva un misterioso "surge", meno invasivo e graduale, forse più interiore che fisico nel gioco squisito e pulito di quelle stesse ariose distanze.
l.s.

martedì 5 gennaio 2010

Anatomia di un interno bertolucciano


Uno stralcio di versi, o di luci, dal terzo capitolo del libro I  della lunga e intensa epopea famigliare della "Camera da letto", di Attilio Bertolucci.
Questa  mattina ho attaccato la quarta sequenza di quel capitolo, e mi sono soffermato sulla grande tenerezza e maestria del tocco delicatissimo di questo passaggio:
"...nel silenzio serale accompagnato
dalla lucerna che fila, tu ombra
d'uomo sul muro, già in piedi nell'atto
di dire addio un 'altra volta..."
e ho ascoltato dalle sue parole scritte e sognanti, luci altrettanto famigliari alla mia vita, alle mie esperienze di piccoli distacchi, di luoghi affettivi e fiabeschi e illuminati appena, quanto ingombranti e rischiarati dalla lampada tremolante della memoria: "dalla lucerna che fila", è proprio qui che si sono fermati i miei occhi, come nella linea fantasmica di una cesura immaginaria del metro, un richiamo di un interno, il filare, ancora una volta setoso, ozioso e dinamico, ma impermanente, di quella stessa luce intravista a distanza da un vetro, semmai da una prospettiva di ombre, o come ultimo indizio di noto, di riparo, di silenzio. La percezione immaginifica e le consonanze nella lettura, sono momenti di grande intimità con la fantasia e la maestria dell'autore e con se stessi, un interludio sonoro, e non solo per ammirarne la purezza e l'abilità nell'esercizio, ma anche per transfigurarne e includerne il senso in una propria idea privata e sbiadita di luci, come se riemersa e ringiovanita al solo contatto o meglio contratto di lettura. Ancora una volta incontro la possibilità di abitare una pagina, ne ho parlato anche in precedenza, per occasioni diverse.
Questa è la mia idea sulla sua poetica, un luogo completo e fibroso di radici, di terre e di cieli antichi  e ancora moderni o disabitati e ancora da esplorare, a volte con un solo occhio aperto per la troppa luce o con la lente per scorgerne il preziosisimo progressivo del particolare, la miniatura; e per quanto sia riuscito a sfiorarne, adesso sono alla seconda rilettura, il significato evocativo, il rapporto complesso e articolato con i flussi temporali e la memoria, l'importanza dei luoghi reali o evocati, nella mutevolezza maestosa delle luci. Il cinema del figlio Bernardo è intriso di certe raffinatezze, dopo lunghe letture e lunghe visioni- vi sono pagine di Attilio che si vedono e si muovono così come fotogrammi di Bernardo che parlano e si ascoltano- avvertendo così una continuità, in diversi aspetti, in certe regioni umane e geografiche che si incrociano, a volte in sereno contrappunto, nelle due poetiche.
l.s.

lunedì 4 gennaio 2010

Risanami uragano, da Goethe

"Risanami uragano,
fa' salire un sentore d'erba umida"
L'attacco di "Vita universale"(All-leben), dove Goethe parte invece dalla polvere, quella rigenerante e più speziata di tutte le altre spezie, e riconduce alla bellezza catartica di un violento e medicamentoso uragano, in tedesco ancora più incisivo e più lungo di tremore il "Gewitterregen", maestoso e subito bagnato nel sentore e nella fisicità dell'erba, amplificando nella traduzione la radice di pioggia torrenziale, dove avverto l'incanto e la spezia della lirica persiana farsi voce o risonanza. A volte la lingua originale ha il tratto pulito ma più scolpito della matita che traccia uno studio, e suona e canta, in confronto, in modo diverso, diventando in tedesco un movimento interno e devastante nella sua medicina, quanto purificante, nonostante i due tremendi raddoppi teutonici delle consonanti.
l.s.

domenica 3 gennaio 2010

Due ultimi libri dell'anno

Forse perché in alcuni giorni particolari l'arrivo di un libro può pesare in modo diverso, ma questi due titoli che mi sono caduti addosso per ragioni diverse, mi ricorderanno entrambi una linea d'ombra o di confine.
Il primo dei due, in ordine di apparizione perché acquistato da un amico libraio a un prezzo invitante, è "Benito Cereno", di Melville. Un tascabile Einaudi del 1997 con una bellissima copertina di Lyonel Feininger: "L'entrata nel porto", anche in questo caso la linea di un ingresso, che può ricondurre all'oscurità di un proposito, ancora più toccante per la tematica e il nodo dell'opera, che dovrebbe ancora una volta schiudersi sull'eterna dicotomia bene e male e l'impasto violento dei mari di Melville, che diventano il mare, a mio avviso  altra grande indimenticabile metafora e luogo primordiale, assoluto.
A seguire, a distanza di un'ora dall'acquisto, un regalo. Sapevo di doverlo ricevere ma è stato un caso in quel giorno lì, ma forse nemmeno, ripensandoci tutto quello che ci avviene potrebbe seguire disegni e accidenti imperscrutabili o invece accadere e basta, senza un senso o un disegno. Un regalo di Natale che è caduto l'ultimo giorno dell'anno, "Il divano Occidentale Orientale" di Johann Wolfgang Goethe, grande mancanza, grande contenitore da strati e spazi multipli, con una versione in tedesco a fronte, per saggiare la grana musicale più  acerba e selvatica dell'originale, vagabondaggio e saccheggio come centro del lavoro, così Ludovica Koch nell'introduzione dell'opera, mirabile contenitore di fonti  bibliografiche con studi paralleli sulla loro analisi. Con questi due testi, in qualasiasi momento della mia vita li leggerò o li rileggerò, con disordinata puntualità o con l'urgenza di una consultazione preziosa, avvertirò lo strano legame delle cose vive, l'amicizia, la morte di un anno, il mare dei linguaggi attraverso l'agitazione di una vita anonima e bruciante di letture, di riletture e di grandi  scoperte.
Tutto qui? Forse no...
l.s.

sabato 2 gennaio 2010

XI da "Le Conclusioni Amorose del Tasso

"Ciascuna natura che opera, o sia conoscente o priva di cognizione, operar sempre per amore, e nissuna mai per odio".
Torquato Tasso.
Tasso si sbizzarrisce a spaziare e poi a zoomare, su particolari universali, che saltano i tempi e recuperare nei suoi ultimi pensieri le antiche riflessioni filosofiche, che spaziano  da Platone e Plotino a Dionigi L'Aeropagita, mantendendo intatta la modernità e la fiamma del suo nodo di canto, ancora più inquietante la XII: "L'odio non esser contrario d'amore, ma seguace d'amore", che stavolta si rifarebbe alla Conclusione discussa nel  Cataneo. Ha sempre scritto in punta di spada, il Tasso, a volte se ne avverte il sibilo, finanche nelle schiuse più dolci dei canti della Gerusalemme, come una schiarente  quanto onesta maestà di fuoco, da indiscusso maestro di magici impeti e di luci boschive.
l.s.

Ipotesi sul male o proposito

"Il male che facciamo o che potremmo fare a qualsiasi vivo, lo facciamo e lo  potremmo fare a qualsiasi futuro morto".
l.s.